Incontri del giovedì - Arezzo Trasgressiva

Ogni Giovedì da Lara

Matteo chiuse lentamente la porta dell’appartamento, lasciandosi alle spalle il rumore sordo della serratura che scattava. Quello era il momento in cui la realtà lasciava il posto a qualcosa di più profondo. Ogni giovedì, a Udine, esisteva un tempo sospeso, una parentesi segreta in cui poteva essere se stesso senza filtri. Lontano dalla routine, lontano dai doveri. Lontano da una fedeltà ormai più apparente che sentita.
La luce era soffusa, profumata di ambra e vaniglia. L’appartamento lo accoglieva con la sua atmosfera ovattata, fatta di silenzi complici e promesse sussurrate. Lara era lì, in piedi accanto alla finestra, un calice di vino in mano e un sorriso disegnato sulle labbra come un invito. Indossava calze autoreggenti nere che risaltavano la rotondità delle cosce, una vestaglia di seta scivolata distrattamente sulle spalle e nulla più. Il suo corpo sembrava scolpito nel desiderio. E nei suoi occhi — grandi, profondi, vivi — Matteo si perse come la prima volta.

Lei non disse nulla. Non serviva. Con un gesto lento e preciso, Lara poggiò il calice sul tavolino e si avvicinò. I suoi tacchi ticchettavano piano sul parquet mentre accorciava la distanza tra loro, centimetro dopo centimetro, finché la sua mano non raggiunse la camicia di Matteo, sfiorandola appena.
«Hai fatto tardi», mormorò con un sorriso che era metà rimprovero e metà provocazione.
«Valeva la pena aspettarti», aggiunse, e i suoi occhi brillarono di quella luce maliziosa che lo mandava in frantumi.

Matteo non rispose. Le mani gli tremavano leggermente mentre le sfiorava la vita, sentendo la pelle calda sotto la seta. La baciò piano, una volta, due, tre, seguendo l’arco del collo, il profumo dei suoi capelli, la curva fragile della clavicola. Lara chiuse gli occhi e si lasciò andare, un sospiro appena udibile le sfuggì dalle labbra, mentre il corpo si muoveva con lenta, consapevole grazia.

Poi si inginocchiò davanti a lui. Lo fece con una lentezza studiata, quasi rituale, mantenendo il contatto visivo come se volesse spogliarlo prima con lo sguardo. Le sue dita aprirono la cintura, poi la zip, liberando l’erezione già piena di Matteo. Ma non si affrettò. Lo guardò, lo accarezzò con lo sguardo e con il respiro, fino a sfiorarlo con le labbra come si bacia un frutto proibito.
Il primo tocco fu caldo, avvolgente, sublime. La lingua di Lara danzava con precisione e dolce ferocia, le labbra morbide si chiudevano attorno a lui con ritmo e attenzione. Ogni movimento era un atto di devozione, ogni respiro un invito a lasciarsi andare. Matteo si aggrappò alla parete, il respiro spezzato, gli occhi chiusi mentre sentiva il corpo farsi liquido, farsi fame.
«Dio, Lara…» gemette, la voce roca, le mani tra i suoi capelli, accarezzandole la nuca con tenerezza e desiderio.

Lei continuò, aumentando lentamente la profondità, variando il ritmo, giocando con la punta della lingua in un crescendo che sembrava non avere fine. Ma si fermò. Si fermò proprio quando lui era sul punto di esplodere, sorridendo con quel suo modo sfacciato e sensuale che lo disarmava ogni volta.
Lo prese per mano e lo guidò verso il divano. Lo fece sedere, poi si spogliò con lentezza, lasciando cadere la vestaglia e rivelando il corpo nudo, perfetto, pieno di promesse. Non era solo bella. Lara sapeva di esserlo. E lo usava come una danza, come una dichiarazione silenziosa.

Poi indossò lo strap-on, con una calma sensuale che non aveva nulla di meccanico o forzato. Quel gesto, su di lei, sembrava naturale, persino regale. Matteo la guardava rapito, eccitato da quella figura femminile e potente che ora si avvicinava a lui con passo sicuro e intenzione precisa.
Lei gli si posizionò dietro, fece scivolare un lubrificante tiepido sulla sua pelle, e poi — con infinita dolcezza — lo preparò, accarezzandolo, baciandolo, accompagnandolo in un'esperienza che non era solo fisica. Era un atto di fiducia, un affidarsi, un lasciare che l'altro entri in te, nel modo più profondo e vulnerabile.

«Pronto?» gli sussurrò all’orecchio, la voce bassa, roca, colma di desiderio trattenuto.
«Sì. Ti voglio… voglio sentire tutto di te», rispose Matteo, voltandosi leggermente verso di lei, offrendosi.
L’ingresso fu lento, attento, guidato. Matteo gemette, il piacere mischiato al brivido, il corpo che si apriva poco a poco, accompagnato dal respiro di Lara, che non smetteva di accarezzarlo, di rassicurarlo, di condurlo dentro l’abisso del piacere più profondo.

Poi cominciò a muoversi. Ogni affondo era preciso, ritmato, carico di intensità. Il suono dei loro corpi che si univano riempiva la stanza come una musica segreta, una sinfonia fatta di carne, di pelle, di sussurri rotti. Matteo si perse completamente, le mani strette sui cuscini, il viso inondato dal calore, dal piacere, dalla pienezza.
«Ti sento tutto… Sei meraviglioso così», disse Lara, aumentandone lentamente il ritmo.

Ogni colpo era un’onda, ogni movimento un’esplosione di sensazioni che scuotevano il corpo e l’anima. Matteo sentiva le gambe tremare, il respiro spezzarsi. La sua erezione strusciava sul tessuto del divano, ogni frizione un colpo di piacere che si sommava agli altri.
«Sto per venire… Lara… non fermarti…», ansimò, con la voce spezzata.
Lei lo afferrò con più forza, aumentò ancora, e con un ultimo gemito strozzato Matteo si lasciò andare, esplodendo in un orgasmo così intenso da fargli vibrare le ossa. Le sue mani cercarono quelle di lei, e le strinsero forte, come se volesse restare ancorato a quel momento per sempre.

Quando tutto finì, restarono così, sdraiati sul tappeto, nudi, avvolti l’uno nell’altra. Le loro pelli, calde e sudate, si incollavano dolcemente, come a voler trattenere quel contatto, quel ricordo sulla pelle.
«Ogni giovedì è diverso. Ma ogni giovedì è sempre più vero», disse Matteo, guardandola negli occhi.
«È perché qui non mentiamo mai», rispose Lara, passandogli una mano tra i capelli.

Si vestirono piano, senza fretta. Ogni bottone era un piccolo addio, ogni carezza un arrivederci. Quando Lara lo accompagnò alla porta, Matteo la baciò con trasporto, affondando il viso tra i suoi capelli, sentendo ancora il battito del cuore corrergli forte nel petto.
«Alla prossima settimana», disse.
Lara sorrise. «Ti aspetto, sempre.»

Fuori, l’aria era fresca. Matteo salì in macchina, accese il motore, e si perse nella notte friulana. Ma dentro, qualcosa era rimasto caldo, pulsante, vivo. Ogni giovedì, in quel piccolo appartamento, ritrovava una parte di sé che non osava mostrare a nessuno. Una parte fatta di pelle, di anima, di passione.

Lara aveva acceso le candele mezz’ora prima del suo arrivo. Le fiamme tremolavano leggere sulle pareti color avorio del piccolo appartamento nel centro di Udine. Il profumo di ambra e vaniglia si mescolava con quello del suo corpo, ancora leggermente umido dopo la doccia. Il calice di vino tra le dita non era che un gesto, un rito per tenere a bada l’impazienza.
Ogni giovedì sera era un’attesa, una vertigine sottile che le faceva vibrare lo stomaco. Non era solo il desiderio. Era il modo in cui Matteo varcava quella soglia. Il modo in cui la guardava, come se il mondo fuori si spegnesse per un’ora, per una notte, per un istante tutto loro.

Quando sentì la chiave girare nella serratura, il cuore le accelerò. Non come la prima volta, quando c’era incertezza. Ora era certezza. Una certezza piena di complicità, come una promessa che si rinnova.
Lui entrò. Lo osservò da lontano per un istante, bevendolo con gli occhi. I capelli scomposti, la camicia sbottonata fino a metà petto, lo sguardo segnato da una giornata lunga ma con una luce diversa. Quella che si accendeva solo con lei. Per lei.

Lara si mosse lentamente verso di lui, un passo dopo l’altro. Sapeva come lo faceva sentire ogni piccolo dettaglio: le calze nere che le abbracciavano le cosce, la seta della vestaglia che lasciava intravedere il seno, il modo in cui le sue labbra si piegavano in quel sorriso indecifrabile — metà invito, metà sfida.

Lo spogliò con la stessa calma con cui si sogna. Le sue dita aprirono la cintura e la zip con dolce autorità, poi lo guardò, lo accarezzò, e si inginocchiò con devozione e desiderio. Ogni volta era un dono: il corpo di Matteo, la sua resa, la fiducia che le concedeva senza parole.
Quando le sue labbra lo accolsero, Lara sentì il cuore danzare. Lo amava quel potere, sì, ma solo perché era scelto, mai forzato. Sentiva il suo respiro cambiare, il suo corpo tendersi, e quello era il suo premio. Ogni volta che Matteo gemeva, ogni volta che affondava le dita tra i suoi capelli, Lara sentiva di valere qualcosa di più del semplice piacere: sentiva di essere la sua via di fuga, il suo rifugio.

Ma quella sera voleva dargli qualcosa di più.

Lo condusse al divano, lo stese con gesti morbidi e sicuri, e poi si spogliò lentamente, lasciando cadere la seta al suolo come un petalo. Si guardò allo specchio di fronte, si osservò con gli occhi che sapeva essere i suoi: Lara era bella. Ma non era quella la chiave. Lara era viva. E in quel momento, stava per mostrare a Matteo una parte di sé che non molti avevano visto: la donna che guida, che ama attraverso la forza, che possiede per donare.
Indossò lo strap-on con cura, sentendo il battito del cuore accelerare. Non per paura. Ma per la profondità emotiva che quell’atto avrebbe avuto. Non era un gioco. Era un rito. E lei lo stava officiando.

Quando lo penetrò con dolcezza, Lara chiuse gli occhi per sentire meglio il suo corpo che si apriva sotto di lei. Le sue mani lo toccavano ovunque: le spalle, la schiena, i fianchi. Matteo era un mosaico di tensione e desiderio. E lei lo leggeva, lo ascoltava, lo custodiva.

Ogni affondo era un passo dentro di lui, dentro la parte più nascosta della sua anima. Lara non stava solo facendo l’amore. Stava dando spazio al suo bisogno più profondo di essere visto, accettato, completamente spogliato — non del corpo, ma della corazza che indossava ogni giorno là fuori.
«Ti sento… dentro ogni fibra», sussurrò, baciandogli il collo, mentre aumentava il ritmo.

Matteo tremava sotto di lei, il respiro spezzato, il corpo scosso da ondate di piacere. E Lara sentì una lacrima pizzicarle l’angolo dell’occhio. Non era tristezza. Era gratitudine. Per quel momento. Per quel corpo che si lasciava andare. Per quell’uomo che, pur senza dirlo, le stava dicendo tutto.
Quando lui raggiunse l’orgasmo, Lara non si mosse. Lo strinse. Lo abbracciò da dietro, come si stringe qualcosa di prezioso, di sacro. Rimasero così, per lunghi istanti. Solo respiri e pelle.

Più tardi, sdraiati sul pavimento, ancora nudi e vicini, Lara lo guardava dormire per un momento. Il viso rilassato, il petto che si sollevava piano. Le sue dita disegnavano cerchi invisibili sulla pelle di lui.
"Ti amo così come sei. Anche se non potrai mai dirlo. Anche se questo amore vive solo il giovedì."
Si alzò lentamente, si rivestì con discrezione e accese una nuova candela. Quando Matteo si svegliò, la guardò con occhi pieni di dolcezza, e le sorrise.
«Sei incredibile», le disse, ancora stordito di emozione.
Lei lo baciò sulla fronte. «Ogni volta che ti vedo, mi sento viva.»
Si salutarono alla porta. Quando lui la baciò, Lara lo trattenne per un attimo in più, imprimendo quel sapore sulle labbra. Poi guardò la porta chiudersi, e tornò nella penombra del salotto, lasciando il silenzio prendere il posto dei gemiti.

Solo quando restò sola, sussurrò:
«Anche io conto i giorni. Anche io ti aspetto, Matteo.»
Era giovedì. Ma l’aria, quella sera, era diversa.
Lara se ne accorse appena entrò nella doccia: si lavò lentamente, come sempre, si profumò con la stessa cura, indossò le sue calze di pizzo e la vestaglia nera. Ma dentro, qualcosa premeva contro il cuore. Un presentimento? Un’ombra? Non sapeva definirlo. Ma lo sentiva.
Alle 20:45 Matteo non era ancora arrivato. Mai successo prima.
Alle 21:10 il suo telefono vibrò.
Uno squillo solo, uno sconosciuto.
Lara, istintivamente, non rispose.
Poi il messaggio: "Possiamo parlare? Sono la moglie di Matteo."

Il cuore di Lara saltò un battito. Prese il telefono con mani fredde e sudate. Leggeva e rileggeva quella frase come se potesse cambiarla. Ma restava lì, nuda, cruda, inevitabile.
Fece passare dieci minuti. Poi rispose: "Sì."
La chiamata arrivò subito. La voce era ferma, composta. Una voce che non tremava, ma che nascondeva tempeste sotto il tono controllato.
«Mi chiamo Chiara. Scusa se ti disturbo. Non voglio scenate. Voglio solo capire.»
Lara si morse il labbro. Cercò di tenere a bada la marea.
«Lo vedo negli occhi quando torna. Lo vedo nel modo in cui si perde nel vuoto. E una donna… lo sente. Tu sei la sua via di fuga, vero?»
Silenzio.
Poi Lara parlò. Non per giustificarsi. Non per difendersi.
Ma per onestà.
«Non lo so se sono la sua fuga. Forse lo sono. Ma anche lui lo è per me.»
Ci fu un attimo di silenzio. Poi Chiara disse:
«Ti ha mai raccontato di noi? Di nostro figlio? Di come abbiamo smesso di toccarci da anni?»
Lara si sentì mancare l’aria. Figlio. Una parola che nessuno aveva mai pronunciato.
«Non me l’ha mai detto…» sussurrò.
«C’è sempre un prezzo. Anche quando sembra amore. E io... voglio che tu sappia solo questo: se lo ami davvero, lascialo andare.»
Poi la linea si chiuse.

Matteo arrivò alle 21:48. Non disse nulla quando entrò. I suoi occhi erano gonfi, lucidi. Le mani tremavano.
«L’ha fatto, vero?» chiese Lara.
Lui annuì. Non si sedette. Non si avvicinò. Restò in piedi, come se avesse paura che, toccandola, tutto sarebbe crollato.
«Ti ha chiamata anche a te?» domandò.
Lara fece un cenno. Poi si alzò e si avvicinò a lui. Gli prese il volto tra le mani, lo guardò come lo guardava ogni giovedì: come se fosse tutto.
«Perché non me l’hai mai detto? Di tuo figlio… della tua famiglia…»
Matteo abbassò lo sguardo. «Perché con te volevo essere solo Matteo. Non il padre, non il marito. Solo… un uomo che può respirare.»
Lara sentì il petto stringersi. Ora toccava a lei.
«Allora lascia che anch’io ti dica una verità.»

Si voltò. Andò verso la libreria e prese una piccola cornice. Gliela porse.
Nella foto c’era Lara, più giovane, con un uomo e una bambina. Il sorriso sul suo volto era pieno, rotondo. Ma gli occhi… gli occhi raccontavano un’altra storia.
«Lei è mia figlia. Aveva sette anni quando è morta. E lui era suo padre. Il giorno dopo il funerale, se ne è andato. E io ho smesso di toccare qualcuno per due anni. Poi sei arrivato tu.»
Matteo la guardò in silenzio. I suoi occhi erano colmi di lacrime che non uscivano.
«Tu mi hai fatto sentire di nuovo viva, Matteo. Ma adesso, se resti, non lo fai solo per te. Lo fai anche per distruggere qualcosa che non ci appartiene. E io non voglio che questo amore sia una rovina.»
Il silenzio che seguì fu lunghissimo. Pesante. Ma necessario.

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