Il collega del corso - Arezzo Trasgressiva

Il pomeriggio di fine estate avvolgeva Potenza in una luce morbida, quasi settembrina. Il sole filtrava dalle grandi finestre della sala conferenze, scivolando sui tavoli e sulle cartelline piene di appunti. Sara, 38 anni, capelli castani raccolti in un elegante chignon, sfogliava distrattamente il programma del corso di aggiornamento. Amava imparare cose nuove, ma quella giornata le sembrava destinata a passare senza nulla di memorabile.

Poi, sedendosi, avvertì una presenza.
Accanto a lei, un giovane collega che non ricordava di aver mai visto prima: Marco. Trentaquattro anni, sguardo scuro, sorriso appena accennato, mani grandi che si muovevano con sicurezza. Indossava una camicia semplice, ma c’era in lui un’eleganza naturale che non passava inosservata.

Scambiarono un saluto, poi qualche frase di circostanza. Eppure, ogni volta che le loro voci si intrecciavano, Sara percepiva un sottotesto che niente aveva a che vedere con la burocrazia.

Durante la pausa caffè, tra chiacchiere di corridoio e l’aroma intenso della macchinetta, i loro sguardi si incrociarono ancora. Marco sorseggiò lentamente, e senza staccare gli occhi da lei disse:
«Fa caldo qui dentro… o è solo una mia sensazione?»

Sara sorrise, avvertendo un calore salire lungo la schiena.
«Forse non è solo una tua sensazione.»

Non servirono altre parole. Lasciarono le tazzine sul bancone e, come se fosse la cosa più naturale del mondo, si incamminarono verso i bagni dell’ente.

Marco chiuse la porta dietro di loro e fece scattare la serratura. In un istante le loro bocche si incontrarono, con un’urgenza che non dava spazio all’incertezza. Le lingue si muovevano affamate, le mani esploravano con decisione. Sara gemeva piano, mentre lui la spingeva contro il muro freddo.

Marco abbassò lentamente la zip del suo vestito, rivelando un reggiseno nero di pizzo. Con movimenti sicuri, liberò i seni e si chinò a prenderli tra le labbra, leccando e succhiando finché i capezzoli non furono duri sotto la sua bocca.

Sara affondò le dita nei suoi capelli. «Non fermarti…» sussurrò, con un filo di voce.

Lui si inginocchiò, le sfilò pantaloni e slip in un unico gesto e si immerse nel calore del suo sesso. La lingua si muoveva lenta, precisa, alternando carezze delicate a colpi rapidi, mentre le sue mani le tenevano le cosce aperte.

Sara non riusciva a controllarsi, il corpo si muoveva da solo, i gemiti diventavano sempre più profondi. Quando Marco trovò il suo clitoride e cominciò a lavorarlo con ritmo costante, l’orgasmo esplose, facendole tremare le gambe.

Appena si ricomposero, si scambiarono un’occhiata che diceva più di qualsiasi discorso. Uscirono dall’edificio senza farsi notare, e in pochi minuti erano nel parcheggio sotterraneo, nascosti nell’ombra.

Marco si sedette sul sedile posteriore della sua auto e Sara lo raggiunse, chiudendo la portiera dietro di sé. Gli slacciò i pantaloni con dita tremanti, liberandolo. Senza preamboli, si mise a cavalcioni su di lui, guidandolo dentro di sé con un sospiro rovente.

La sensazione la travolse: piena, intensa, irresistibile. Cominciò a muoversi lentamente, poi sempre più in fretta, mentre Marco le stringeva i fianchi, spingendosi in profondità. I loro respiri diventavano affannosi, i baci più disordinati.

«Sei mia…» ansimò lui, e Sara rispose con un gemito strozzato, raggiungendo il secondo orgasmo della giornata. Pochi istanti dopo, anche Marco esplose, stringendola a sé come se non volesse mai lasciarla andare.

Nei giorni seguenti, il pensiero di Marco non la lasciò un momento. Rivide mentalmente ogni tocco, ogni sguardo. E quando il suo telefono vibrò con un messaggio breve — “Pensando a te” — sentì il cuore accelerare.

Organizzarono un incontro in una piccola pensione fuori città. Questa volta, Marco aveva un piano.

La stanza era semplice, ma calda. Sul letto, Marco aveva disposto una corda morbida. «Ti fidi di me?» chiese, fissandola negli occhi.

Sara annuì.
Lui le legò delicatamente i polsi alla testiera, poi iniziò a baciarla ovunque: collo, clavicole, ventre. La tensione era elettrica. Alternava carezze lente a morsi improvvisi, facendo fremere ogni fibra del suo corpo.

Marco prese un piccolo frustino in pelle e lo fece scivolare lungo le sue cosce, senza colpire, solo per sentire i brividi che le correvano sulla pelle. Poi, con colpi leggeri, le accarezzò i fianchi, aumentando la sua eccitazione fino al limite.

Quando finalmente si unì a lei, il piacere fu immediato e travolgente. Marco dettava il ritmo, variandolo a piacimento, portandola sull’orlo per poi rallentare, facendola implorare. Sara, legata e in balia di ogni suo gesto, scoprì un lato di sé che non conosceva: il piacere nel cedere completamente il controllo.

Fecero l’amore più volte quella notte, provando posizioni e giochi che Sara non avrebbe mai immaginato. Ogni orgasmo era più intenso del precedente, fino a lasciarla esausta, ma felice.

Al mattino, ancora intrecciati, Sara lo guardò e disse piano:
«Non importa cosa succederà. Nessuno potrà portarmi via quello che abbiamo vissuto.»

Marco le accarezzò il viso. «E nessuno lo saprà mai.»

Si vestirono lentamente, come per prolungare il momento. Prima di uscire, si baciarono ancora, con la stessa intensità della prima volta.

Da quel giorno, ogni incontro era un ritorno in quel piccolo universo fatto solo di loro due, lontano dal resto del mondo. E ogni volta, alla fine, si scambiavano lo stesso sussurro complice:

«Non lo dirò mai.»

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