La sculacciata del maneggio - Arezzo Trasgressiva

“Il Respiro del Comando”

Il Rituale del Silenzio
Nel cuore selvaggio della Maremma, tra campi baciati dal sole e sentieri tracciati da secoli di fatica e amore per la terra, Alessandro conduceva la sua esistenza solitaria. Un uomo dai modi misurati, la pelle segnata dal sole e dalle fatiche dell’allevamento, ma con uno sguardo che tradiva un'inquietudine più profonda: il desiderio di appartenere, di cedere il controllo, di lasciarsi andare.

Poco fuori Grosseto, nascosto tra filari di cipressi e silenzi contadini, esisteva un maneggio. Non uno qualunque, ma un luogo scelto da lei.

Lady Ariane.

Dominatrice raffinata, di poche parole e di molti significati, era una donna la cui sola presenza cambiava l’aria attorno a sé. Il suo portamento era fiero, elegante come un cavallo da parata, ma con lo sguardo di chi sa domare le anime prima ancora dei corpi. Quando camminava, i suoi stivali scandivano il tempo, il frustino al fianco ricordava che nessuno sfuggiva alla sua autorità.

Quel pomeriggio, il caldo della Maremma vibrava sulla polvere dei sentieri. Alessandro aveva preparato ogni cosa come da rituale: la stalla vuota, pulita, una stuoia di paglia fresca al centro e il silenzio assoluto a fare da cornice. Quando Lady Ariane apparve, il mondo intero sembrò trattenere il respiro.

Lui s’inchinò, la testa bassa, le mani nude e aperte. Ogni gesto parlava di rispetto, ogni muscolo teso nell’attesa.

«Alessandro,» disse lei, con voce ferma e carezzevole al tempo stesso. «Il mio stallone fedele. Sei pronto?»

«Sì, Lady Ariane», rispose lui, tremando leggermente.

«Allora inginocchiati. Offrimi la tua disciplina.»

Lo fece senza esitazione. La frusta si alzò con grazia e scese con precisione, come un pennello su una tela già nota. Ogni colpo era una carezza che bruciava, un confine spinto un po’ più in là, un segreto sussurrato sulla pelle.

Poi venne l’umiliazione rituale: la pulizia degli stivali. Non era solo un gesto erotico, ma una dichiarazione d’intenti. Alessandro, il gigante maremmano, si riduceva in ginocchio per onorare la donna che lo aveva scelto come suo strumento di piacere e controllo. Lei, fiera e immobile, lo osservava come si osserva un’opera ben riuscita.

Quando la frusta si posò, Lady Ariane si spogliò lentamente, senza fretta, lasciando che ogni capo rivelasse non solo pelle, ma potere.

Lo cavalcò. Non come una donna cerca un uomo, ma come una regina doma la sua creatura più fedele. Alessandro gemeva, il suo corpo tremava sotto di lei, ma la mente era limpida: ogni istante passato tra le sue cosce era un dono.

Quando il piacere li raggiunse, lo fece come un temporale improvviso. Senza parole. Senza richieste. Solo bisogno e verità.

Ma Lady Ariane non era donna da coccole. Si rivestì con la stessa precisione con cui si era denudata. Lo baciò sulla fronte come si fa con i cavalli fedeli.

«Fino alla prossima volta, stallone.»

E andò via, lasciandolo nudo nella penombra, il cuore che batteva ancora al ritmo del suo comando.


Le Redini Spezzate

I giorni passarono lenti. Alessandro, tornato al suo quotidiano fatto di animali, polvere e fatica, sentiva dentro sé una tensione crescente. Ogni venerdì aspettava il rumore degli stivali, il profumo di cuoio e gelsomino che annunciava la sua Signora. Ma Lady Ariane non tornava.

Una settimana. Poi due. Infine tre.

Quando arrivò una lettera, la sua calligrafia precisa lo fece tremare. Ma il contenuto fu una frustata ben più dolorosa di quelle a cui era abituato.

“Alessandro,

Il tempo ha spezzato un equilibrio che credevo eterno.

Ho deciso di andarmene.

Non perché tu non sia stato degno. Ma perché io non posso più permettermi di giocare con anime che meritano più di quanto io possa offrire.

Ricordami con onore, come io farò con te.

Lady Ariane”

Il suo cuore si spaccò in silenzio.

Una sera d’autunno, Alessandro tornò al maneggio. La stalla era vuota, i suoni ovattati dal vento. Si inginocchiò là dove un tempo si consumavano le loro danze. Accarezzò la paglia. Chiuse gli occhi.

Sentiva ancora la voce di Ariane, il peso del suo corpo su di lui, il profumo della sua pelle. Ma tutto ciò che restava era un'assenza tagliente.

Nel silenzio della Maremma

Anni dopo, chi passava vicino al vecchio maneggio raccontava di aver visto un uomo, alto e silenzioso, che sedeva all’alba davanti al cancello chiuso. Non parlava con nessuno. Ogni venerdì, alla stessa ora, nello stesso punto.

A volte aveva in mano una piccola scatola di legno. Dentro, un frustino nero consumato, e una fotografia sbiadita: una donna vestita di pelle, lo sguardo fiero, lo stivale lucido. Dietro, una dedica scritta a mano:

“A chi ha saputo essere mio.
Per sempre.”

Alessandro non smise mai di aspettarla.


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