- Pubblicata il 08/08/2025
- Autore: Pietro
- Categoria: Racconti erotici sottomissione
- Pubblicata il 08/08/2025
- Autore: Pietro
- Categoria: Racconti erotici sottomissione
La frusta del Tempio - Arezzo Trasgressiva
Nelle tiepide serate di Agrigento, quando il sole scolora i resti delle antiche glorie in toni d’ambra, Pietro, guida turistica colta e impeccabile, conduceva i visitatori tra le pietre sacre della Valle dei Templi. Ma quella sera, non c’era nulla di ordinario. Perché tra le colonne dorate dal tramonto, c’era lei.
Daria.
Mistress milanese in vacanza, pelle chiara come il marmo antico, portamento sicuro e sguardo che tagliava come un coltello di velluto. Non servivano fruste o latex per capire che il controllo era il suo linguaggio madre. Bastava vederla camminare: ogni passo era un comando non detto.
Pietro, 44 anni, era abituato agli occhi curiosi dei turisti. Ma lo sguardo di Daria non era curioso. Era valutativo. Dominante. Carico di promesse non dette.
«Hai altre visite oggi, Pietro?» chiese lei, mentre osservava distrattamente le rovine, il tono basso e lento, quasi letale.
«No, signora. La mia giornata termina con voi.»
Daria sorrise, un angolo della bocca appena sollevato. «Perfetto. Allora finirà come merita.»
Nel B&B poco distante, immerso nel silenzio profumato della sera siciliana, Daria aprì la porta della sua stanza con la naturalezza di chi non chiede, ma prende. La luce era soffusa, filtrava tra le tende leggere. Pietro entrò e si sentì, senza comprenderne il motivo, in balia di lei.
Daria lo spogliò senza fretta. Ogni bottone aperto era una resa. Ogni centimetro di pelle esposta, una confessione silenziosa. Quando fu nudo, lei si avvicinò con una cintura di cuoio, antica e lucida, come un cimelio carico di energia.
Il primo colpo fu netto. Il secondo, più profondo. Ogni frustata era una dichiarazione. Non di violenza, ma di potere. Pietro gemette, e quel suono si mescolò all’eco del passato: come se le pietre millenarie fuori dalla finestra approvassero quel rituale moderno.
«Inginocchiati.»
La voce di Daria non ammetteva esitazioni. Pietro obbedì, il suo cazzo duro come pietra, pulsante sotto lo sguardo di lei. Quando si avvicinò, lui affondò la lingua tra le sue cosce, affamato, devoto. Il sapore di lei era un nettare denso, salmastro, ipnotico. La sua lingua la esplorava con fervore, mentre lei afferrava i suoi capelli e lo guidava più a fondo, senza pietà.
«Così… sì. Sei mio.»
Lo condusse al letto. Lo legò con corde di seta rossa, tese e precise, che gli immobilizzavano i polsi sopra la testa e le caviglie ai lati. Pietro era offerto, aperto, vulnerabile.
Daria lo cavalcò. Ogni movimento del suo bacino era sacro, deciso, antico come i templi che avevano visto nascere i miti. I suoi fianchi si muovevano con ritmo crescente, il respiro affannoso, i capelli che le cadevano sugli occhi mentre lo dominava con il corpo e con lo sguardo.
Con una mano, gli coprì la bocca. I suoi gemiti soffocati sotto il palmo caldo di lei sembravano rimbombare dentro il letto stesso.
«Adesso sei tu la mia guida,» sussurrò, mentre il suo corpo si tendeva verso l’orgasmo. «Conduci me. Ma resta in silenzio.»
Il suo corpo iniziò a tremare, le cosce si strinsero con forza attorno a lui, e venne. Forte, profonda, irrefrenabile. Un orgasmo che lo scosse attraverso di lei, come un'onda che travolge il tempio del piacere.
Pietro, ancora legato, si lasciò andare poco dopo. Con uno slancio finale, mentre il suo corpo si contorceva sotto il suo, venne dentro di lei con un piacere che lo attraversò come lava bollente. Un grido soffocato, un orgasmo totale.
Daria si sdraiò accanto a lui, sudata, rilassata. I loro corpi ancora intrecciati, l’odore del sesso nell’aria, misto al gelsomino della notte agrigentina.
«Sei stato un’ottima guida, Pietro,» disse lei, tracciando con un dito una linea invisibile sul suo petto. «Ma sono stata io a mostrarti la vera essenza dei templi, non è così?»
Pietro sorrise. «Sì, signora. E sarei felice di esplorare ancora.»
Daria si alzò, camminò nuda verso la doccia, la schiena lucida di sudore, la silhouette disegnata dalla luna. Si voltò un attimo, appena.
«Preparati. La nostra avventura non è finita.»
Pietro rimase disteso, ancora legato, il cuore lento ma sveglio. Sapeva che quella donna non era come le altre. E che il viaggio iniziato tra le rovine aveva appena scalfito la superficie di qualcosa molto più profondo.
Agrigento dormiva sotto le stelle, ma nella stanza 6 del B&B, un uomo si stava risvegliando. Non come guida. Non come amante.
Ma come proprietà.
Il giorno seguente, Daria non parlò molto. Si muoveva nella stanza con calma, i capelli sciolti sulla schiena nuda, la pelle ancora segnata dai morsi della notte. Pietro la osservava in silenzio, seduto sul bordo del letto, le mani poggiate sulle cosce. Nudo. In attesa.
Lei si avvicinò e gli infilò al collo un sottile collare in pelle nera, semplice, senza fibbie vistose. «Questo non è un ornamento. È la chiave.»
Pietro non chiese nulla. Avrebbe seguito Daria anche nell’inferno.
Lo portò fuori, nell’ora in cui Agrigento dormiva ancora, e lo condusse — guidato dalla sua padrona — nuovamente nella Valle dei Templi. Le pietre, ora rosate dal primo sole, sembravano più vive che mai. Nessun turista. Solo loro, il vento e gli dei dimenticati.
Arrivarono dietro un pilastro caduto, al riparo dalla vista. Daria stese una coperta di lino sulla pietra calda e lo fece inginocchiare.
«Oggi non sarai legato da corde. Sarai legato da me.»
Daria si spogliò lentamente, un gesto solenne, come se quel corpo bianco fosse un’offerta agli dèi antichi. Poi si inginocchiò sopra di lui, e senza una parola abbassò la testa, prendendo in bocca il suo cazzo duro da minuti.
Lo succhiava piano, con movimenti precisi, controllati, fino a farlo tremare. Poi lo lasciava, lo guardava negli occhi e sorrideva, sapendo che ogni secondo in più era parte del tormento.
«Non venire. Non ancora.»
Si girò, appoggiò le mani sulla pietra antica, aprendo le gambe. La luce dell’alba le accarezzava il culo rotondo, perfetto. Senza ordini, Pietro si avvicinò e la penetrò da dietro, con lentezza, con un rispetto animale. Il cazzo affondava dentro di lei mentre la sua mano le stringeva i fianchi.
Il ritmo aumentò. Il respiro si fece più pesante.
«Non sei più una guida,» sussurrò Daria, mentre lui la scopava con devozione. «Ora sei mio. Solo mio.»
Il corpo di Pietro esplose nel piacere prima ancora di venire. Era fuori controllo, le sue mani la afferravano, il suo cazzo la riempiva. Quando venne, fu come se qualcosa gli venisse strappato dall’anima: un gemito grezzo, primitivo, senza filtri.
Daria lo seguì, con un orgasmo che la fece piegare sulla pietra, il volto contro il marmo, il corpo scosso da onde profonde.
Restarono lì, nudi tra le rovine, le ginocchia sporche di polvere e sesso. Il silenzio non era imbarazzo. Era sacro.
Daria si rivestì lentamente, si legò i capelli, poi prese il collare e glielo sfilò con delicatezza.
«È finita?» chiese Pietro, la voce roca.
Daria sorrise. Ma non rispose.
Fece un passo indietro, e poi un altro. Le sue scarpe ticchettavano leggere sulla pietra. Si voltò solo per un attimo, prima di sparire oltre le colonne, dove il sole ora illuminava la città.
Pietro restò lì ancora un momento. Il cazzo umido, il corpo esausto, il cuore strano.
Sapeva una cosa sola: nessuna rovina antica avrebbe mai avuto per lui la potenza di quel corpo, di quella donna, di quel dominio.
E mentre il giorno si alzava su Agrigento, Pietro capì che la vera guida era diventata lui stesso.
Ma solo perché, prima, aveva scelto di perdersi.
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