Perdono carnale - Arezzo Trasgressiva

Il velo di Benedetta

Nel cuore antico di Caserta, dove i vicoli si stringono in abbracci silenziosi e le pietre raccontano storie sepolte dal tempo, viveva Suor Benedetta. Da vent’anni abitava nel convento di Santa Lucia, tra mura che odoravano d’incenso e legno antico, scandendo le sue giornate con preghiere, silenzi e gesti ripetuti. Ma sotto quel velo nero e quell’abito austero, il tempo non aveva spento il fuoco che ardeva dentro di lei. Un fuoco silenzioso, fatto di sogni, di curiosità mai soddisfatta, di una femminilità mai sbocciata.
Aveva quarant’anni quando cominciò a sentirsi straniera nella sua stessa vita. Le notti, una volta placide, iniziarono a farsi lunghe e tormentate. Ogni volta che chiudeva gli occhi, il suo corpo le parlava con una voce che non poteva più ignorare. Non era solo desiderio: era sete di vita, fame d’incontro, bisogno d’essere vista non come un’anima da redimere, ma come donna da amare.
Una sera, attratta da un bisogno che non sapeva nominare, uscì dal convento per una passeggiata solitaria. Camminò senza meta, finché non si trovò in una piccola piazza nascosta, lontana dai turisti, immersa in un silenzio caldo e vibrante. Lì, accanto a una fontana di marmo, vide lui.
Raul, un uomo dai tratti latini, poco più giovane di lei, aveva il corpo scolpito come una promessa e lo sguardo di chi conosce il piacere ma non lo svende. C’era una gentilezza ruvida nei suoi movimenti, e qualcosa nei suoi occhi le fece trattenere il respiro. Lui la notò e sorrise, come se sapesse di trovarsi davanti a un’anima inquieta.
Lei esitò, ma poi si avvicinò. Il cuore le martellava nel petto, eppure non aveva paura. C’era qualcosa di inevitabile in quell’incontro.
«Non dovresti essere qui,» disse lui, più per provocazione che per giudizio.
«Lo so,» rispose Benedetta, abbassando lo sguardo. «Ma forse... è proprio qui che devo essere.»
Raul le porse la mano. «Io sono Raul.»
«Benedetta,» sussurrò lei, e nel pronunciare il proprio nome si sentì per la prima volta viva.
Quella sera non accadde nulla, eppure tutto era già cominciato.

Nei giorni seguenti, Benedetta tornò più volte in quella piazza. Raul era sempre lì, come se il destino lo avesse piantato come un albero a cui lei potesse aggrapparsi. Parlavano. Ridevano. A volte si toccavano appena, con dita che si sfioravano nel passaggio di un libro, o con sguardi che dicevano molto più delle parole.
Una sera, la pioggia li sorprese. Si rifugiarono sotto un antico porticato. Raul la guardò con intensità.
«Ti stai liberando, lo sento. Ma ti stai anche spaventando.»
Lei annuì. «Ho paura di perdere tutto.»
«Forse è proprio questo il punto. Lasciare andare tutto ciò che ti ha tenuta imprigionata.»
In quel momento, la baciò.
Un bacio lento, caldo, non invasivo ma profondo, come un invito a spogliarsi dell’anima prima che del corpo. Lei tremò, non di freddo, ma di riconoscimento. Era ciò che aveva sempre desiderato e mai osato cercare.

Passarono giorni prima che Benedetta trovasse il coraggio di tornare da lui. Quando lo fece, lo fece con consapevolezza. Era pronta. Raul la accolse con silenziosa devozione. La condusse nel suo appartamento, piccolo e disordinato, ma pieno di luce e calore.
Le tolse il velo con delicatezza, come se stesse liberando un uccello da una gabbia. I suoi capelli, legati da sempre, scesero sulle spalle come una cascata dimenticata.
«Sei bellissima,» le disse.
La sua mano si posò sul fianco di lei, timida, ma decisa. Ogni tocco era una domanda, ogni bacio una risposta. La spogliò come si spoglia un altare, con rispetto e desiderio insieme. E Benedetta si lasciò amare, come se ogni centimetro della sua pelle avesse aspettato solo quello: essere toccata senza colpa.
Raul la accarezzava senza fretta, studiava il suo corpo come si studia una lingua sconosciuta, lasciando che fosse lei a dettare il ritmo, i tempi, i limiti. Lei imparava, in silenzio, cosa significasse abbandonarsi, accogliere, desiderare.
Fu un amore gentile, che sapeva però farsi impetuoso. Una danza di corpi e anime, fatta di sospiri, mani intrecciate, carezze che scivolavano su pelle tesa d’attesa.

I loro incontri divennero rituali.
Ogni volta, Raul insegnava a Benedetta una nuova forma di piacere e libertà. A volte le raccontava storie, altre volte la faceva ridere fino alle lacrime. E quando il desiderio prendeva il sopravvento, si amavano con la stessa passione di due adolescenti e la consapevolezza di due anime che avevano atteso troppo.
Si esploravano, si scoprivano, si insegnavano. Benedetta conobbe la tenerezza di un bacio sul ventre, la dolce tortura di un’attesa, la pienezza di un amplesso vissuto con l’anima oltre che con il corpo. Imparò a piacersi, a sentirsi viva, a non vergognarsi più.

Ma non era solo sesso.
Era connessione. Era rinascita.
Tra una carezza e l’altra, condividevano ricordi, sogni, paure. Raul le raccontava della sua infanzia lontana, delle scelte difficili, dei rimpianti. Benedetta gli parlava delle notti passate in silenzio, dei canti, dei sensi di colpa. E si accorsero che, sebbene venissero da mondi così diversi, le loro ferite parlavano la stessa lingua.

Una notte, dopo un lungo silenzio, Benedetta lo guardò e disse:
«Mi sento nuova. E mi spaventa quanto è bello sentirmi così.»
Raul le accarezzò il viso. «È il miracolo della libertà, amore mio. Ed è appena cominciato.»

Nel cuore segreto di Caserta, tra le mura che avevano visto preghiere e penitenti, nacque una storia fatta di desiderio e redenzione. Benedetta non tornò mai più a essere solo suor Benedetta. Smise di appartenere a un ruolo, a un abito, a un’idea di sé che non le calzava più.
Era diventata una donna intera. E Raul, l’uomo che l’aveva amata come nessuno, era diventato la sua dannazione… e la sua salvezza.

Il giardino segreto

Era un pomeriggio di fine estate quando Raul portò Benedetta in un luogo che custodiva come un tesoro: un giardino nascosto alle spalle di un vecchio palazzo barocco. Un angolo selvaggio, dove la natura cresceva libera e gli odori di terra, fiori e umidità si mescolavano in un’armonia primordiale.
«Qui nessuno ci troverà,» le sussurrò, prendendole la mano. Lei si lasciò condurre come una creatura appena nata, i suoi sensi all’erta, il cuore in tumulto.
Sotto un albero di fico, Raul distese una coperta. Benedetta si sedette, le mani tremanti sul grembo. Lui si inginocchiò davanti a lei, come se stesse per iniziare un rito.
Con gesti lenti, le sciolse i capelli, poi le sfilò il vestito con una delicatezza che le fece venire i brividi. Lei rimase in sottoveste, il cuore nudo più del corpo.
«Ogni parte di te è sacra,» disse Raul, posando le labbra sulla sua spalla nuda.
Le sue mani iniziarono un’esplorazione fatta di respiri, carezze e pause. Ogni centimetro di pelle diventava il centro dell’universo. Benedetta chiuse gli occhi, lasciando che ogni tocco accendesse una scintilla, che ogni bacio lasciasse un’impronta.
La sottoveste scivolò via, e con essa l’ultima difesa.

Raul la fece sdraiare, i loro corpi allineati come versi di una preghiera nuova. Le labbra di lui scesero lungo il collo, tra i seni, fino al ventre, disegnando sentieri di desiderio. Quando raggiunse la sua intimità, Benedetta emise un gemito soffocato, un suono che sembrava contenere anni di silenzi spezzati.
Le sue dita la accarezzarono con attenzione, tracciando cerchi morbidi che la fecero fremere. Poi la lingua, calda e curiosa, le insegnò un piacere che nessuna parola aveva mai saputo spiegare. Benedetta si aggrappò ai capelli di Raul, lasciando che il suo corpo danzasse al ritmo di sensazioni nuove, travolgenti.
Il piacere la colse come un’onda in piena. Scoppiò dentro di lei con una forza che la lasciò senza fiato, con il volto rigato da lacrime di gratitudine.
Raul la raggiunse, e quando si amarono fu lento e profondo, come se ogni gesto avesse lo scopo di incidere quel momento nella carne e nell’anima.

La prova

Il ritorno al convento fu duro.
Benedetta si sentiva un’altra. La tonaca le pesava addosso, come un abito che non le apparteneva più. Eppure, non aveva ancora trovato il coraggio di lasciare tutto. Dentro di sé si dibattevano la paura e il desiderio, il senso del dovere e la fame di libertà.
Una notte, nel chiostro silenzioso, suor Maria le parlò.
«Hai gli occhi pieni di qualcosa che qui non esiste più.»
Benedetta non rispose. Ma comprese che stava cambiando, e che non poteva più nascondersi.
Quando tornò da Raul, non disse nulla. Ma lui la guardò, e capì.
Quella notte fu diversa.
Non ci furono parole, solo un bisogno urgente. Si spogliarono senza grazia, quasi con foga. Benedetta si gettò su di lui come se il suo corpo avesse finalmente preso il controllo. Lo baciò con fame, cavalcò il suo piacere con forza, urlò senza ritegno, lasciando che ogni movimento fosse una dichiarazione di libertà.
Raul non si trattenne. La afferrò per i fianchi e si perse dentro di lei con tutta la passione che aveva represso nei giorni di lontananza. Si amarono sul pavimento, contro la parete, nel letto, con gesti che erano al tempo stesso crudeli e tenerissimi.
Quella notte, Benedetta non fu più una donna che fuggiva da qualcosa. Fu una donna che sceglieva.

Il risveglio

All’alba, nudi e intrecciati, si guardarono.
«Voglio vivere con te,» sussurrò Benedetta. «Voglio lasciare tutto.»
Raul sorrise. «Allora inizieremo da capo. Io e te.»
Lei lo baciò, un bacio lungo, dolce. Non c’era più vergogna nei suoi occhi. Solo verità.
Iniziarono una nuova vita, discreta, lontana dai giudizi. Benedetta trovò lavoro in una piccola libreria, cominciò a scrivere, a dipingere. Raul lasciò il lavoro di escort e aprì un piccolo studio di massaggi olistici. Si reinventarono. Si salvarono a vicenda.
E ogni sera, si ritrovavano. Non più solo per fare l’amore, ma per raccontarsi. Per ridere. Per piangere. Per crescere.
Il sesso divenne un linguaggio sempre più profondo, fatto di confidenza e creatività. Si esplorarono in ogni modo: candele profumate, giochi di ruolo, bendature, confessioni sussurrate. Ma il cuore restava lo stesso: due anime che si erano riconosciute.

Non era più “Suor Benedetta”.
Era solo Benedetta, e bastava.
Una donna che aveva scelto di rinascere, tra le braccia di un uomo che non l’aveva salvata, ma l’aveva vista.
E nel cuore di Caserta, tra i vicoli e i giardini nascosti, la loro storia continuava. Ogni notte, il loro amore scriveva una nuova pagina. Ogni gemito, una poesia. Ogni carezza, una preghiera.
Perché il vero miracolo non era smettere di peccare.
Era amare, senza più paura.
Capitolo 6 – Il ritorno
Era una mattina d’autunno quando Benedetta ricevette una lettera dal convento. Il tono era pacato, quasi affettuoso: suor Maria, la più anziana tra le sorelle, era gravemente malata e chiedeva di vederla “un’ultima volta”.
Benedetta esitò. Aveva lasciato quel mondo senza voltarsi, ma qualcosa dentro di lei – forse gratitudine, forse un’ombra di dovere – la spinse a tornare.
Raul non disse nulla. Le prese la mano e le disse solo: «Torna se senti che devi. Ma non dimenticare chi sei diventata.»
Attraversare il portone del convento fu come entrare in un sogno dimenticato. I passi di Benedetta riecheggiavano nei corridoi come quelli di un fantasma. Le consorelle la guardarono in silenzio, alcune con curiosità, altre con giudizio, qualcuna con occhi pieni di malinconia.
Suor Maria la accolse con un sorriso stanco, il volto scavato dalla malattia.
«Hai scelto la vita, Benedetta,» le disse. «E per questo, ti ammiro.»
Scoppiò in lacrime. Benedetta le prese la mano e restò accanto a lei fino al tramonto, raccontandole della libreria, dei suoi quadri, di Raul. E quando la vecchia suora chiuse gli occhi per l’ultima volta, Benedetta capì che non stava tornando indietro, ma stava chiudendo un cerchio.
Uscì dal convento e il cielo sopra Caserta le sembrò più vasto. Respirò a fondo. La Benedetta che era entrata… non esisteva più.

La fiamma e l’ombra

Quando tornò a casa, trovò Raul assorto, una tazza di tè freddo tra le mani e uno sguardo sfuggente.
«Hai pianto,» le disse lui, avvicinandosi per baciarla sulla fronte.
Lei gli sorrise, ma c’era qualcosa nell’aria, una tensione che non c’era mai stata.
Nei giorni successivi, Raul si fece più distante. Le notti erano ancora dolci, ma Benedetta avvertiva un velo tra i loro corpi. Finché una sera, in libreria, vide una donna entrare: alta, elegante, con un accento straniero e un sorriso troppo sicuro.
«Sto cercando Raul. Mi ha detto che lavora qui vicino.»
Benedetta sentì un gelo correre lungo la schiena. Quando la donna se ne andò, affrontò Raul con il cuore in gola.
«Chi è?»
Lui abbassò lo sguardo. «Una cliente... una vecchia cliente. Non ho fatto nulla. Ma... non so perché, quando sei andata via, è tornata a cercarmi.»
«E tu ci hai pensato?»
Silenzio.
Benedetta si sentì fragile, tradita non da un fatto, ma da un pensiero. Non bastava forse che Raul avesse avuto un dubbio?
Eppure, non urlò. Non fuggì. Gli disse solo: «Dimmi se hai ancora bisogno di perderti per capire cosa hai trovato.»
Raul la guardò. «No. Ho avuto paura. Di perderti. Di ritornare quello che ero. Ma non voglio più vivere nei miei fantasmi. Voglio te.»
La prese tra le braccia e la strinse forte. Quella notte non fecero l’amore. Dormirono nudi e vicini, come se dovessero ricostruirsi pezzo per pezzo.

L’ultimo silenzio

Passarono mesi.
La libreria divenne un punto di ritrovo culturale, Benedetta cominciò a scrivere racconti erotici sotto pseudonimo, storie in cui parlava di donne come lei, che avevano riscoperto il corpo senza perdere l’anima.
Raul aprì una piccola scuola di massaggi e meditazione. Ai suoi corsi partecipavano persone di ogni età, in cerca di contatto, ascolto, verità.
Una sera, durante una passeggiata lungo il fiume Volturno, Raul si fermò e le prese il volto tra le mani.
«Hai salvato la parte più viva di me.»
Benedetta sorrise. «E tu mi hai insegnato che il peccato più grande è non conoscersi mai davvero.»
Si baciarono. Un bacio lungo, senza urgenza. Un bacio che era un sì alla vita.

Poco tempo dopo, Benedetta tornò in quel giardino segreto dove avevano fatto per la prima volta l’amore. Era sola. Si sedette sotto lo stesso fico e chiuse gli occhi. Le dita accarezzavano il ciondolo che Raul le aveva regalato: una piccola croce intrecciata con un fiore.
Sentì il vento sulla pelle. Il profumo dei ricordi. Il calore di tutto ciò che era stata.
E sussurrò:
«Non sono più suora. Non sono più solo donna. Sono tutto quello che ho scelto di essere. Sono viva.»

Anni dopo, in una mostra d’arte sensoriale a Napoli, un visitatore si fermò davanti a un dipinto intitolato “Rinuncia”. Raffigurava una figura femminile nuda, inginocchiata, con un velo abbandonato ai piedi e le mani tese verso un cielo rosso fuoco.
«Chi è l’artista?» chiese.
Una donna dietro di lui sorrise.
«È una ex suora. Si chiama Benedetta. Ma oggi preferisce farsi chiamare solo… sé stessa.»
E tra la folla, con un vestito rosso e un sorriso pieno di storia, Benedetta osservava la sua opera. Accanto a lei, Raul le sfiorò la schiena con una carezza. Non avevano bisogno di parole. La loro storia era tutta lì, sulla tela. E nel corpo. E nella memoria.







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