La scale del castello - Arezzo Trasgressiva

Il Castello e la Promessa

Giada, con la macchina fotografica al collo e la mente affamata di bellezza, camminava tra i silenzi millenari del Castello Aragonese. Ogni pietra, ogni ombra, sembrava raccontare una storia. Il sole di Reggio Calabria scendeva pigramente verso il mare, tingendo le mura di riflessi dorati.

Fu tra quei chiaroscuri che Naomi emerse, come un’apparizione sensuale e silenziosa. Alta, magnetica, la pelle color miele illuminata da una luce calda. Si avvicinò a Giada con passo felpato, come se la conoscesse da sempre.

«Posso aiutarti a trovare quello che cerchi?» chiese con voce roca, come un sussurro che accarezza l’anima.

Giada si voltò sorpresa. I loro sguardi si incrociarono e per un istante sembrò che il tempo rallentasse. «Forse cerco qualcosa che non so nemmeno descrivere», rispose, incerta se parlasse di fotografia o desiderio.

Naomi sorrise. «Allora seguimi. Ti mostro il lato nascosto del castello.»

Le condusse attraverso un passaggio secondario, fino a una scalinata antica dove la luce filtrava in fasci sottili. Il silenzio si fece più denso. Mentre salivano, Naomi si avvicinò fino a sfiorarle il braccio. La pelle di Giada si accese.

All’improvviso, Naomi si fermò, la guardò negli occhi, e le sfilò con grazia la macchina fotografica dal collo. Con movimenti lenti, come se danzasse, le slacciò la camicetta, svelando centimetro dopo centimetro una pelle candida che pareva seta. Le mani di Giada tremavano, ma non si tirò indietro. Anzi, le sue dita si fecero curiose, esplorando il corpo di Naomi come se fosse un paesaggio da scoprire.

Le due donne si abbandonarono l’una all’altra, nude su quelle pietre che avevano visto secoli di battaglie. Ma quella era una resa dolce, fatta di baci morbidi, carezze umide e sguardi che bruciavano più di ogni parola. Giada, con un impeto che non le apparteneva, si inginocchiò, e cominciò un’esplorazione profonda e intima, spingendo Naomi oltre ogni controllo.

Tra sospiri e gemiti sommessi, le pietre antiche diventarono teatro di una passione che pareva scritta nelle stelle. E quando, esauste, si sdraiarono sui gradini, il tramonto le avvolse come una coperta di luce dorata.

«Questo è un set che non scorderò mai», sussurrò Giada, con un sorriso ancora tremante.

Naomi la baciò lentamente. «E non è che l’inizio.»


Reggio Calabria si stendeva ai piedi del tramonto come un corpo languido. Dopo il loro incontro tra le pietre del castello, Giada e Naomi si erano concesse un lungo silenzio carico di promesse non dette. Avevano camminato fianco a fianco fino al lungomare, senza tenersi per mano, ma con la pelle ancora vibrante del contatto recente.

«Vieni con me», disse Naomi, con un tono calmo, quasi ipnotico. La sua voce aveva il potere di cancellare ogni pensiero logico.

Salita al terzo piano di una vecchia palazzina ristrutturata, la stanza che Naomi aprì si rivelò come un mondo a parte. Ampie vetrate affacciate sullo Stretto, tende leggere che si muovevano al ritmo del vento e un letto basso, essenziale, coperto da lenzuola color avorio.

«Questo è il mio rifugio», mormorò. «Qui non porto nessuno. Ma con te… è diverso.»

Giada non rispose. Si tolse la macchina fotografica dal collo e la posò con cura sul tavolo, come se volesse spogliarsi anche di quella parte di sé. Naomi si avvicinò e, con un gesto lento, le sollevò i capelli, scoprendo il collo.

«Posso baciarti?»

Il consenso arrivò come un sussurro, e le labbra di Naomi sfiorarono la pelle con dolcezza prima di approfondire il contatto. Il bacio divenne via via più intenso, fino a quando le due donne si trovarono abbracciate, i vestiti che cadevano uno a uno come foglie d’autunno.

Il letto accolse i loro corpi nudi come un palcoscenico segreto. Naomi guidava con la sicurezza di chi conosce ogni dettaglio dell’anatomia del piacere. Si stese sopra Giada, ma non premette: si limitò a danzare su di lei, con la bocca, con le dita, con il respiro.

Giada gemeva piano, i suoi occhi aperti, fissi sul soffitto, come se volesse imprimere nella memoria ogni dettaglio. Naomi la stava toccando in un modo nuovo, più lento, più profondo. Le dita sfioravano, ma non premevano subito. La lingua accarezzava, ma non invadeva. Era un gioco di ritmi, di confini esplorati con rispetto e fame.

«Ti voglio vedere venire per me», sussurrò Naomi, il volto tra le cosce di Giada, già lucide di desiderio. La sua lingua tracciò cerchi, movimenti circolari che sembravano antichi, rituali. Le mani di Giada cercarono il suo seno, le sue anche, come se volesse afferrarla tutta. L’orgasmo arrivò come un’onda lunga, silenziosa, potente. Le gambe tese, il respiro trattenuto, il cuore in piena.

Quando fu il turno di Naomi, fu Giada a prendere il comando. La fece sedere sulla poltrona davanti alla vetrata. Si inginocchiò davanti a lei, l’azzurro del mare alle spalle, e la fece gridare di piacere in controluce, come una statua vivente, le mani serrate ai braccioli, il corpo che tremava di piacere.

Alla fine, si addormentarono nude, avvolte l’una nell’altra, coperte solo da un lenzuolo sottile e dalla promessa silenziosa di qualcosa che stava andando oltre il semplice incontro carnale.

L’Ultima Foto
Era l’ultima sera di agosto. Giada avrebbe dovuto lasciare la Calabria l’indomani per tornare a Milano. L’aria era più fresca, come se l’estate stesse cominciando a cedere il passo.

Naomi la osservava mentre sistemava la valigia. «Sei davvero sicura di voler partire?»

Giada chiuse la cerniera. «Non sono sicura di nulla.»

Camminarono insieme fino al castello, il luogo dove tutto era cominciato. La luce era diversa, più morbida, e il vento portava con sé il profumo del mare e dei ricordi. Salirono la stessa scalinata, questa volta vestite di lino leggero e sandali bassi.

«Fammi una foto», disse Naomi, appoggiandosi alla parete di pietra, il viso rivolto al tramonto.

Giada prese la macchina, ma non scattò subito. La guardava attraverso l’obiettivo con occhi nuovi. Vedeva la donna che l’aveva fatta sentire viva. Ma vedeva anche la donna che forse avrebbe perso.

Poi Naomi si avvicinò e sfilò l’abito con un solo gesto. Rimase nuda, tra pietra e luce. «Scatta adesso. Voglio che tu mi ricordi così. Vera.»

Giada tremava. Fece click. E poi un altro. E un altro ancora.

Dopo l’ultimo scatto, abbassò la macchina e si avvicinò. «Ti amo», disse, senza pensarci, senza volerlo trattenere.

Naomi non rispose. Le si avvicinò, le afferrò il viso e la baciò. Lungo, profondo. Poi le sussurrò all’orecchio: «Allora resta.»

Qualche mese dopo, in una galleria d’arte nel centro di Milano, le foto di Giada erano in mostra. Il titolo era semplice: “Luce su Pietra”.

Tra gli scatti, uno attirava l’attenzione più degli altri. Una donna nuda, il corpo illuminato da un tramonto calabrese, lo sguardo verso l’orizzonte. Era Naomi.

Giada era lì, in disparte, osservava i visitatori in silenzio. Poi sentì un profumo noto. Si voltò.

Naomi era lì.

Non disse nulla. Le prese la mano e la strinse.

E in quell’istante, Giada capì che il vero capolavoro non era una fotografia. Era quella storia. La loro.

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