- Pubblicata il 11/08/2025
- Autore: Alberto
- Categoria: Racconti erotici gay
- Pubblicata il 11/08/2025
- Autore: Alberto
- Categoria: Racconti erotici gay
Trai monti ed il lago - Arezzo Trasgressiva
L’eco dei loro passi si perdeva nel silenzio ovattato della montagna, mentre Alberto e Riccardo scendevano dal Monte Resegone. Il sole calava lento, tingendo il cielo di oro e rame, e il vento fresco portava con sé il profumo resinoso dei pini. Alberto, con il volto segnato dalla fatica dell’escursione, sfoggiava un sorriso pieno di soddisfazione, mentre Riccardo, con passo sicuro e uno sguardo che celava pensieri profondi, sembrava assaporare ogni respiro.
— Ho un rifugio poco più avanti — disse Riccardo, rompendo il silenzio. — Da lì si vede il lago di Lecco al tramonto. È qualcosa di speciale.
Alberto accettò senza esitazione, attratto tanto dalla promessa del panorama quanto dalla compagnia.
Il rifugio era un piccolo gioiello incastonato tra le rocce, con grandi vetrate che si aprivano sul paesaggio. All’interno, un camino acceso proiettava ombre calde sulle pareti in legno. Appena entrati, si tolsero gli zaini e si scambiarono uno sguardo lungo, carico di ciò che non veniva detto.
Un passo, poi un altro, e si ritrovarono vicinissimi. Il respiro di Alberto si fece più rapido quando le mani di Riccardo gli sfiorarono le spalle, scendendo lentamente lungo le braccia. Era un tocco sicuro, ma al tempo stesso attento, come se volesse imparare a memoria ogni dettaglio.
La vicinanza si trasformò in un abbraccio, e l’abbraccio in un bacio lento, profondo, che sapeva di montagna e legna bruciata. Fu un momento sospeso, in cui il crepitio del camino si mescolava al battito dei loro cuori.
Si lasciarono cadere sul divano di pelle di fronte al fuoco, le mani che continuavano a cercarsi, gli sguardi che non si distoglievano. Il tempo sembrava dilatarsi, e la luce del tramonto filtrava ancora dalle vetrate, avvolgendoli in un bagliore caldo.
Il resto della serata si svolse come un dialogo silenzioso fatto di gesti, carezze e sguardi. Non c’era fretta, solo il desiderio di scoprire e di essere scoperti. La montagna, fuori, sembrava proteggere quel momento, custodendo la loro intimità.
Quando la notte avvolse il rifugio, restarono lì, vicini, a guardare le stelle attraverso i vetri. Nessuno dei due parlava, ma entrambi sapevano che ciò che stava nascendo era più di un incontro fugace.
All’alba, il lago di Lecco si stendeva sotto di loro come uno specchio d’argento. Alberto si voltò verso Riccardo, e con un sorriso disse:
— La bellezza della montagna… e la bellezza di ciò che abbiamo trovato qui.
Riccardo gli prese la mano, stringendola piano.
— Due cose che, se vissute insieme, diventano indimenticabili.
Si vestirono in silenzio, pronti a tornare a valle, ma portando con sé il ricordo di quella notte: un ricordo che, come il profumo della legna e il sapore dell’aria d’alta quota, sarebbe rimasto a scaldare entrambi per molto tempo.
Era passata poco più di una settimana da quella notte al rifugio. Alberto, tornato alla vita di tutti i giorni, sentiva ancora il calore di quel camino e la presenza di Riccardo come un’eco persistente. Le lezioni, le email, i ritmi quotidiani… tutto gli sembrava in sordina, come se la vera vita fosse rimasta lassù, tra le rocce e il vento.
Una mattina ricevette un messaggio breve, ma sufficiente a risvegliare ogni ricordo:
«Stessa montagna, sentiero nuovo. Ci vediamo sabato?»
Non ci fu bisogno di pensarci.
Il sabato, il cielo era limpido e l’aria pungente. Quando Alberto arrivò al punto d’incontro, Riccardo lo stava già aspettando, appoggiato al suo zaino, con lo stesso sorriso che lo aveva stregato la prima volta.
— Oggi saliamo meno, ma andiamo più in profondità — disse Riccardo, e Alberto non poté fare a meno di notare il doppio senso nelle sue parole.
Il sentiero si snodava tra faggi spogli e rocce muschiose, conducendo a una radura segreta che si apriva su una vista spettacolare del lago. La neve, caduta nei giorni precedenti, scricchiolava sotto i loro passi, e ogni tanto un raggio di sole filtrava tra i rami, illuminando la strada come una carezza inattesa.
Quando raggiunsero la radura, Riccardo posò lo zaino e stese una coperta spessa sul terreno. Dal termos versò due tazze di tè fumante. Si sedettero vicini, le ginocchia che si sfioravano, il silenzio riempito solo dal vento e dal lontano richiamo di un rapace.
— Lo sapevo che saresti venuto — disse Riccardo, fissandolo negli occhi. — Non per la montagna… ma per quello che c’è tra noi.
Alberto abbassò lo sguardo, come se temesse che quell’ammissione potesse renderlo troppo trasparente. Poi, con un mezzo sorriso, rispose:
— Forse le due cose non sono separabili.
Riccardo si avvicinò di più, e il loro respiro si mescolò. Il primo bacio fu lento, come una ricognizione, ma subito dopo si fece più profondo, più consapevole. Era un bacio che conteneva tutto: l’attesa, il ricordo, il desiderio.
Rimasero così, stretti sotto i loro giacconi, mentre il lago brillava in lontananza. Le mani si intrecciavano tra i guanti, e ogni tocco era un dialogo silenzioso, un patto non scritto.
Il ritorno verso valle fu lento, non per stanchezza, ma per il desiderio di prolungare il più possibile quella giornata. Quando giunsero a un punto panoramico, Riccardo si fermò.
— Da qui, la prossima volta, potremmo spingerci oltre — disse, indicando un sentiero che scompariva dietro una cresta innevata.
Alberto lo guardò, e non era chiaro se si riferissero alla montagna o a qualcosa di molto più intimo.
Scambiarono un ultimo sguardo lungo, e senza bisogno di dirlo sapevano già che ci sarebbe stato un “prossima volta”.
Mentre il sole calava, la neve rifletteva una luce dorata che li avvolgeva entrambi. Era la stessa luce che Alberto avrebbe portato con sé nei giorni a venire, insieme alla certezza che, in quella parte di mondo sospesa tra cielo e terra, c’era un rifugio che non era fatto di legno e pietra, ma di due presenze che si cercavano.
L’inverno era arrivato in piena forza. Il vento del nord soffiava teso sulle creste, e il Monte Resegone si stagliava come un gigante bianco contro il cielo limpido. Erano passate tre settimane dall’ultimo incontro, e da allora Alberto aveva vissuto in una strana attesa, come se ogni giornata fosse solo un intervallo tra due salite.
Il messaggio arrivò in una sera di gelo:
«Sabato. All’alba. Porta scarponi e fiducia.»
Il sabato, il mondo era silenzioso sotto la neve fresca. Alberto trovò Riccardo al parcheggio, il volto coperto da un passamontagna e gli occhi che brillavano come sempre. Senza tante parole, si misero in cammino.
Il sentiero era nuovo, una traccia sottile che si arrampicava tra abeti carichi di neve. L’aria gelida pizzicava la pelle, ma ad ogni passo Alberto sentiva salire un calore diverso, fatto di adrenalina e aspettativa. Riccardo camminava davanti, con passo sicuro, fermandosi ogni tanto per controllare che Alberto fosse vicino.
Dopo oltre un’ora di salita, il bosco si aprì su un’altura. Davanti a loro, una cresta di roccia e neve che sembrava sospesa tra due vallate.
— È lì che andiamo — disse Riccardo, con un tono che non ammetteva dubbi.
Il vento aumentava, portando con sé un ruggito lontano, come un fiume invisibile. Il sentiero si fece più stretto, e il rumore dei loro passi era l’unico suono, interrotto solo dal battito accelerato di Alberto.
Quando superarono la cresta, lo spettacolo fu mozzafiato: un piccolo pianoro nascosto, protetto da un semicerchio di rocce, con una vista che abbracciava il lago e le montagne circostanti. Ma ciò che colpì Alberto non fu solo il panorama: al centro, su una piccola spianata di neve battuta, Riccardo aveva preparato qualcosa.
Una tenda da montagna, bassa e robusta, e accanto un fornelletto che emanava un leggero fumo. Due coperte spesse erano poggiate su un tronco caduto, pronte per avvolgerli.
— Questo è il nostro rifugio, oggi — disse Riccardo, con quel mezzo sorriso che Alberto ormai conosceva bene. — Qui nessuno ci troverà.
Si sedettero vicini, sorseggiando caffè caldo da due tazze di metallo. Il silenzio era assoluto, interrotto solo dal vento che lambiva le rocce. Ogni sguardo durava più a lungo del necessario, e ogni sfioramento di mano lasciava dietro di sé una scia di calore che niente, nemmeno il gelo, poteva spegnere.
— Ti ho portato qui per un motivo — disse infine Riccardo, fissandolo negli occhi. — Voglio che tu ricordi questo posto come il punto in cui non torneremo più indietro.
Alberto non chiese spiegazioni. Si avvicinò, e i loro volti si toccarono. Il bacio che seguì fu lento, intenso, come se volessero imprimere nella memoria ogni secondo. Il mondo intorno sparì, e per un momento restarono solo loro due, il calore condiviso, e il panorama infinito.
La giornata trascorse come in un sogno: lunghe pause in silenzio, mani intrecciate sotto le coperte, sguardi che dicevano più di mille parole. Eppure, sotto la quiete, c’era un filo di tensione. Alberto percepiva che Riccardo stava trattenendo qualcosa, come se ci fosse un pensiero che non voleva rivelare.
Quando il sole iniziò a calare, tingendo di rosa la neve, Riccardo parlò di nuovo.
— Alberto… ci saranno giorni in cui non potremo vederci. Giorni in cui la vita ci trascinerà altrove. Ma voglio che tu sappia una cosa: questo — indicò con un gesto che comprendeva loro due e il luogo in cui si trovavano — non finirà. Non per me.
Alberto lo guardò a lungo, e poi sorrise.
— Allora porterò sempre con me questa montagna.
Si strinsero forte, mentre l’ombra della sera si allungava sulla neve. Poi, lentamente, iniziarono la discesa, lasciandosi alle spalle il pianoro segreto.
Quando, ore dopo, raggiunsero il parcheggio, non ci fu bisogno di grandi saluti. Bastò uno sguardo per capire che ciò che avevano costruito non dipendeva dal tempo o dalla distanza.
E mentre Alberto guidava verso casa, sentiva che il legame con Riccardo era come quella montagna: solido, profondo e capace di resistere a ogni tempesta.
Non sapeva quando sarebbe stata la prossima volta, ma sapeva una cosa: non era un addio. Era solo un “a presto”, inciso nel vento e custodito dalla neve.
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