Tacchi e schiavitù - Arezzo Trasgressiva

In una tiepida sera di maggio, il loft nel cuore di Salerno si trasformava in un santuario di desideri taciuti, un rifugio dove Roberto, agente immobiliare di 44 anni, poteva finalmente dare corpo alle sue ossessioni più proibite. La luce soffusa dei lampadari a goccia disegnava ombre danzanti sul pavimento in legno scuro, mentre nell’aria aleggiava l’attesa elettrica di un incontro annunciato.

Aspettava Mirea. Trentanove anni, escort fetish celebre tra i clienti più selezionati della Campania, era una donna che incarnava le fantasie più perverse: gambe chilometriche avvolte da calze nere lucide, tacchi vertiginosi e quella voce bassa, impastata di peccato, che sembrava promettere tormenti e paradiso insieme.

Roberto aveva curato ogni dettaglio del loft per creare l’atmosfera perfetta: odore di cuoio, musica chill a basso volume, e una bottiglia di vino rosso già aperta. Quando Mirea varcò la soglia, il suo arrivo fu come una marea che invade lenta e inesorabile. Indossava un abito corto di vinile nero che aderiva al corpo come una seconda pelle, mentre le calze autoreggenti brillavano sotto la luce, terminando in un paio di scarpe dal tacco affilato come una lama.

Il ticchettio sensuale dei suoi passi risuonava nel loft come una chiamata ancestrale. Roberto le andò incontro, con il cuore martellante e il desiderio già incastonato sotto la cintura.

"Buonasera, Roberto," sussurrò lei, sfiorandogli il mento con le dita. "Sei pronto a esplorare il limite tra piacere e sottomissione?"

Un semplice cenno di lui bastò. Mirea si accomodò sul divano in pelle, accavallando lentamente le gambe, lasciando che la luce accarezzasse le calze. "Comincia da qui," ordinò, indicando le sue gambe con autorità.

Roberto si inginocchiò, tremante. Accarezzò le sue caviglie e poi iniziò a leccare la pelle nuda tra le calze e le scarpe, il sapore misto di nylon e pelle lo inebriava. Le scarpe scivolarono via lentamente, una dopo l’altra, e lui le afferrò come reliquie, baciando le suole con devozione. Mirea sospirava di piacere, premendo con i piedi il suo viso, calpestandolo leggermente, dominandolo con eleganza sadica.

"Sì, bravo," mormorò lei, affondando un tacco sul suo petto. "Adorami."

Roberto si perse nell’adorazione, la lingua che tracciava traiettorie lente tra le dita dei piedi, mentre lei aumentava la pressione, umiliandolo senza una parola in più.

Poi Mirea si alzò. Con gesto deciso lo spinse a terra con un piede e lo guardò dall’alto, fiera e bellissima, la regina del suo gioco.

"Ora tocca a me," sibilò, chinandosi su di lui. Afferrò il suo viso, lo strofinò sulle scarpe e, con l'altra mano, iniziò a massaggiargli l’inguine con gesti lenti ma decisi. Lo masturbava sopra i pantaloni, mentre gli occhi di Roberto si rovesciavano all’indietro per il piacere.

"Quanto lo vuoi, il mio tocco?" gli chiese, la voce un filo di seta e veleno.

"Tantissimo... sono tuo, Mirea... fammi tuo schiavo..." ansimò lui.

Lei sorrise, soddisfatta. Slacciò la cintura dei suoi pantaloni, abbassò la zip e liberò il suo cazzo duro, già madido di pre-sperma. Lo prese tra le dita e cominciò a muoverle lentamente, stringendolo quanto basta per farlo tremare. Poi, senza staccare lo sguardo dal suo viso, tirò fuori una cintura di pelle nera da una borsa posata accanto al divano.

"Mostrami quanto sei mio," disse, legando con precisione la base del suo cazzo, stringendo fino a bloccare ogni fuga.

Poi si voltò. Lentamente, sensualmente, si piegò in avanti, mostrando il culo perfetto incorniciato dalle autoreggenti. "Penetrami con questa cintura. Fammi sentire la tua sete."

Roberto, sottomesso ma affamato, si sollevò e iniziò a penetrarla con la cintura, facendola scivolare dentro di lei tra mugolii roventi. Mirea si apriva a ogni spinta, godendo con ogni fibra. I suoi gemiti rimbombavano contro le pareti del loft, un’eco sporca e bellissima.

"Voglio sentirti davvero adesso," disse lei, sfilando la cintura e inginocchiandosi a quattro zampe. "Dammi il tuo cazzo."

Roberto la penetrò con foga, afferrandole i fianchi, spingendosi dentro con violenza e desiderio. Il rumore dei corpi che si scontravano copriva la musica, mentre le sue mani le stringevano il culo e i suoi colpi diventavano sempre più profondi.

"Più forte!" urlava Mirea, il corpo scosso dai brividi. "Fammi tua, fammi venire!"

Roberto la scopava come un posseduto, tirandole i capelli, mordendole la schiena, mentre sentiva l’orgasmo salire dentro di sé come un’esplosione imminente.

"Sto venendo..." gridò, mentre il piacere lo travolgeva, riempiendola con tutto il suo seme caldo. Mirea venne pochi istanti dopo, tremando e gemendo, il suo orgasmo bagnava il pavimento del loft e il cazzo ancora pulsante di Roberto.

Spossati, si accasciarono uno accanto all’altra. Il silenzio era pieno di respiro e di pelle nuda ancora calda. Lei si voltò e gli accarezzò il viso.

"Sei stato bravo, Roberto... ma ricorda, qui comando io."

Lui annuì, ancora perso nel delirio del piacere. "Lo so. E voglio ancora di più."

Mirea sorrise, si rivestì con calma, con quell’eleganza spietata che la caratterizzava. "La prossima volta sarà ancora più intenso," disse, aprendo la porta e lasciando che l’aria della notte riempisse la stanza.

Il loft tornò al silenzio, intriso dell’odore del sesso, delle calze nere, della pelle e della promessa non detta: che tra quelle mura, a Salerno, nulla era troppo estremo.
Passarono alcuni giorni, ma per Roberto l’attesa sembrava un’agonia. Ogni angolo del loft di Salerno gli ricordava Mirea: il divano su cui aveva posato le gambe, le impronte dei suoi tacchi sul parquet, il profumo deciso che ancora aleggiava nell’aria. Non era solo desiderio: era un’ossessione che gli scavava dentro, un bisogno primitivo di sottomettersi ancora a lei.

Il messaggio arrivò il venerdì sera, breve e perentorio:
“Stasera. 22:30. Porta qualcosa per essere legato.”
Firmato: M.

Roberto tremava mentre preparava la stanza. Candele, specchi, lenzuola nere, manette in pelle e corde morbide ma resistenti. Si guardò allo specchio: nudo, solo una mascherina nera sugli occhi e un collare che Mirea gli aveva lasciato l’ultima volta. Era pronto.

Alle 22:32 il campanello suonò.

Mirea entrò con passo lento e deciso, vestita di latex nero lucido, un trench corto aperto sul davanti che lasciava intravedere un reggicalze provocante e calze a rete autoreggenti. I tacchi a spillo disegnavano sul parquet un ritmo da marcia sensuale.

“Bravo. Obbediente,” disse, scrutandolo con uno sguardo tagliente. “Stasera non ci saranno limiti.”

Roberto si inginocchiò subito, offrendo le mani. Mirea prese le corde, lo legò lentamente, con cura, immobilizzandogli i polsi dietro la schiena. Poi, senza dire una parola, lo fece sdraiare a terra, fissandogli le caviglie al supporto del letto con le manette.

“Questa notte sarai solo mio corpo.”

Senza pietà, lo montò a cavalcioni, strofinando la sua pussy sulla sua bocca, obbligandolo a leccarla. “Non ti è concesso parlare,” sibilò, stringendogli i capelli. Mirea gemette piano, controllata, mentre lui la adorava con la lingua, seguendo ogni piega, ogni desiderio.

Poi si alzò, si mise dietro di lui e lo sferzò con una frusta leggera, solo per sentire il suono sulla pelle nuda. Ogni colpo era una promessa. Ogni pausa, un castigo.

“Ti piace essere trattato come un oggetto, vero?” sussurrava, mentre con un dito unto gli penetrava lentamente l’ano, preparandolo. “Stasera userò tutto di te.”

Prese un dildo doppio, lo inserì dentro di sé da un lato, e con l’altro spinse lentamente dentro di lui. Roberto gemette, il corpo inarcato, legato, completamente alla sua mercé. Lei si muoveva con eleganza brutale, alternando ritmo e profondità, ansimando mentre lo scopava con fermezza.

“Guarda come mi prendo quello che voglio,” mormorava, mentre si toccava il clitoride, inarcandosi sopra di lui.

Quando si fermò, era lucida di sudore, accesa da un fuoco oscuro.

“Adesso tocca a te,” disse, sciogliendolo.

Lo fece inginocchiare davanti a sé. Gli infilò un preservativo con le mani, poi si girò, allargando le gambe, le calze tirate appena sopra i glutei tesi. Roberto la penetrò con furia, trattenuto solo dalla sua fame. La scopava da dietro mentre le mani le stringevano la vita, i colpi diventavano sempre più forti.

“Non venire ancora,” gli ordinò, voltandosi. “Lo farai solo quando te lo dirò io.”

Ma Roberto non resse. Con un grido selvaggio, venne dentro il preservativo, mentre il suo corpo tremava di un piacere devastante.

“Disobbediente...” sussurrò Mirea. Ma poi sorrise. “Hai bisogno di essere rieducato.”

Si chinò, leccò il suo seme dalla base del preservativo, guardandolo negli occhi, poi lo baciò con quella bocca sporca di dominio e promessa.

L’aria nel loft era satura di sudore, latex, umori e potere. Mirea si stese accanto a lui, le dita che gli tracciavano segni invisibili sul petto.

“Ora sai chi sei davvero,” disse piano.

Roberto annuì. Non era più solo un cliente. Era suo. Corpo, desiderio, mente.

Mirea si rivestì con lentezza e grazia letale. Alla porta si voltò ancora una volta.

“Quando sarai pronto per il prossimo passo… non dovrai nemmeno chiamarmi. Sarò io a trovarti.”

E poi sparì nel buio del corridoio, lasciandolo nudo, esausto, con il corpo segnato e l’anima marchiata dalla sua dominatrice.

Nel silenzio del loft di Salerno, Roberto sorrise. Era diventato ciò che aveva sempre voluto essere: una proprietà di Mirea.




Vota la storia:




Iscriviti alla Newsletter del Sexy Shop e ricevi subito il 15% di sconto sul tuo primo acquisto


Iscrivendoti alla newsletter acconsenti al trattamento dei dati personali come previsto dall'informativa sulla privacy. Per ulteriori informazioni, cliccando qui!

Non ci sono commenti

Per commentare registrati o effettua il login

Accedi
Registrati