- Pubblicata il 07/08/2025
- Autore: Erika
- Categoria: Racconti erotici etero
- Pubblicata il 07/08/2025
- Autore: Erika
- Categoria: Racconti erotici etero
Perdono carnale - Arezzo Trasgressiva
Il primo vero peccato
Nella penombra di una stanza d’albergo a Caserta, dove il profumo della storia sembrava intrecciarsi con quello del desiderio inespresso, Suor Benedetta si trovò davanti a un bivio che non era fatto di pietra ma di carne, pelle e fuoco. A quarant’anni, il suo corpo era ancora avvolto in un bozzolo di castità, ma dentro di lei ribolliva una passione feroce, troppo a lungo repressa da preghiere e silenzi.
Raul, escort latino di trentacinque anni, incarnava ogni tentazione mai pronunciata, ogni peccato solo sussurrato nei sogni più torbidi di Benedetta. Con un sorriso da predatore e un corpo scolpito da anni di culto al piacere, Raul era tutto ciò che la sua esistenza monacale non poteva nemmeno contemplare.
Si incontrarono in un caffè affollato vicino alla Reggia, sotto un cielo opaco che sembrava promettere pioggia. Quando i loro sguardi si incrociarono, fu come se una fitta lama luminosa squarciasse le nuvole nella mente di lei. Raul si avvicinò con la lentezza di chi sa di avere il tempo dalla sua parte, l’accento caldo come il sole del suo paese natale.
«Suor Benedetta,» disse, con un tono che oscillava tra il rispetto e una malizia appena contenuta, «sembra che tu stia cercando qualcosa che non puoi trovare tra le pagine di un libro di preghiere.»
Il cuore di lei prese a battere come impazzito, togliendole il respiro. «E tu pensi di potermelo dare?» mormorò, la voce che sembrava uscire da una ferita aperta nella sua fede.
«Posso mostrarti cose che vanno oltre ogni immaginazione… e non parlo solo di piaceri fisici.»
Nella stanza d’albergo il mondo esterno svanì. Raul si avvicinò con lentezza disarmante, i suoi occhi che la scrutavano come se volesse spogliarla con lo sguardo prima ancora che con le mani. Benedetta indossava ancora l’abito cucito con le sue mani, simbolo di una vita che ora sembrava solo una prigione. Con un gesto deciso, Raul le strappò il velo. I suoi capelli castani, lunghi e mossi, scesero liberi sulle spalle. Il tocco delle sue dita contro la pelle nuda del collo la fece tremare, e il primo bacio fu un’esplosione di sensi: calore, vertigine, resa.
Le sue mani esplorarono sotto l’abito, trovando una pelle liscia, calda, ansiosa. Quando Raul le slacciò il cilicio, Benedetta gemette, lasciando andare una parte di sé che fino a quel momento non aveva osato ascoltare.
«Oh, Dio mio…» sussurrò, mentre lui la prendeva per mano e la guidava verso il letto, il suo corpo che bruciava sotto ogni centimetro di pelle toccato da quelle mani forti, sicure, esperte.
Sul tappeto che riproduceva i motivi arabeggianti di una terra lontana, Raul la penetrò con una dolce brutalità che le fece perdere ogni punto di riferimento. Ogni colpo era un’invocazione, un’ode carnale, un’esplosione di piacere. Benedetta si aggrappò a lui, i gemiti che si mescolavano al suo nome, un mantra erotico e sacro che li portava sempre più in basso, sempre più in alto.
Quando si distesero, esausti e ancora ansanti, non c’erano più ruoli, solo due corpi che si erano riconosciuti.
Si inginocchiarono uno di fronte all’altra, completamente nudi, in un silenzio che aveva il sapore di un rito proibito. Le loro mani si muovevano lente, si accarezzavano con devozione, quasi come se stessero celebrando un culto nuovo e pagano. Raul prese il proprio cazzo duro tra le mani e la guardò negli occhi, mentre Benedetta apriva lentamente le cosce, mostrando la sua pussy bagnata, palpitante.
La vista lo fece sussultare, e lei si sentì adorata, venerata, libera.
«Sei così bella, così selvaggiamente pura…» mormorò Raul, le dita che cominciavano a giocare con il suo clitoride, facendola tremare con scosse di piacere sempre più intense.
«E tu sei il diavolo,» rispose lei con un sorriso impudente, mentre la sua mano si stringeva attorno al suo cazzo, iniziando a masturbarlo con lentezza ipnotica, godendo del potere di farlo gemere sotto il suo tocco.
Il loro culto del piacere continuò a lungo. Raul la divorò con la lingua, portandola all’orgasmo più volte, fino a farle perdere il conto. Poi la prese di nuovo, stavolta da dietro, con le mani strette sui suoi fianchi e il corpo che sbatteva contro il suo con foga crescente. Benedetta urlò, cavalcò, si offrì. Ogni penetrazione era un fuoco nuovo che bruciava dentro.
Quando infine, all’alba, restarono abbracciati sotto le lenzuola stropicciate, sapevano entrambi che niente sarebbe mai più stato come prima.
«Raul…» sussurrò lei, mentre la luce dorata del mattino accarezzava il suo viso. «Non so cosa mi riserva il futuro, ma so che non posso più tornare indietro.»
Lui la baciò con dolcezza, un bacio che prometteva altri peccati, altre notti.
«Non importa dove andrai, Suor Benedetta… ti porterò sempre con me.»
E così, con il cuore ancora tremante e il corpo che vibrava per il piacere, Benedetta si avventurò in un mondo nuovo. Raul, il suo primo vero peccato, era stato la scintilla. Ma ora era lei a tenere in mano il fuoco.
Le giornate seguenti si sfumarono come un sogno caldo tra le lenzuola. Benedetta non tornò al convento. Affittò una piccola stanza nel centro storico di Caserta, un luogo dove nessuno la conosceva. Ogni sera, Raul la raggiungeva con il passo felino di chi sa che il desiderio non aspetta. Le portava vino, frutta, un sorriso, e sempre, sempre il suo corpo pronto a farla volare.
Facevano l’amore in silenzio o urlando. La prendeva sulla cucina, con i piedi che battevano sulle piastrelle fredde. Le slacciava il vestito senza dire una parola e la prendeva di spalle, spingendola a piegarsi sul tavolo, i suoi gemiti che si mescolavano al rumore delle stoviglie. A volte la sollevava e la possedeva in piedi contro la parete, il suo cazzo che la riempiva con violenza e dolcezza, le mani strette sui suoi fianchi che ormai portavano lividi come medaglie.
Ma col passare dei giorni, un filo gelido cominciò a insinuarsi nel cuore di Benedetta. Ogni volta che Raul usciva da quella porta, le tornava in mente il suono delle campane, l’odore dell’incenso, il vuoto che aveva lasciato dietro di sé. Non era colpa, no. Era nostalgia. Era la sensazione sottile e crudele di aver perso qualcosa di sacro mentre scopriva il sacro dentro la carne.
Una notte, dopo l’ennesima esplosione di piacere che li aveva lasciati sfiniti e nudi sul pavimento, Benedetta restò a guardarlo dormire. La sua pelle color ambra, le braccia forti, il cazzo ancora semi-eretto tra le cosce rilassate… era perfetto. Eppure, nel silenzio, sentì un pianto salire da dentro, silenzioso, senza lacrime.
Si alzò piano. Indossò il vecchio abito grigio che non aveva avuto il coraggio di buttare. Si guardò allo specchio: i capelli sciolti, le labbra gonfie, il collo segnato dai morsi. Una suora? No. Non più. Ma nemmeno solo una donna perduta.
Scivolò sul letto e lo baciò sulla fronte. Raul aprì gli occhi, la guardò.
«Te ne vai?» chiese con voce roca.
«Devo… per capire chi sono adesso.»
Lui annuì, senza protestare. Sapeva che non poteva trattenerla.
Ma prima di uscire, Benedetta si girò. Si sciolse di nuovo l’abito, lo lasciò cadere ai piedi del letto. Si avvicinò a Raul e lo prese tra le mani, lentamente. Si inginocchiò e iniziò a baciarlo lì, con una dolcezza quasi religiosa. Lo fece diventare duro di nuovo, con la lingua che lo accarezzava come se stesse pregando. Lui la guardava senza parlare, respirava piano.
Poi si stese sopra di lui, e lo prese dentro di sé per l’ultima volta.
Cavalcò lenta, come in trance. I capelli che ondeggiavano, i seni che sfioravano il suo petto, la sua voce che sussurrava una litania: «Ti ricorderò. Sempre. Sempre…»
Il piacere arrivò come una carezza divina. Un orgasmo dolce, profondo, come se tutte le colpe si sciogliessero in quel movimento. Raul gemette piano, venendo dentro di lei, con la testa affondata tra i suoi seni.
Quando si separò da lui, era ancora piena del suo seme, ma anche di un vuoto nuovo. Di un amore senza futuro. Di un peccato diventato promessa.
Uscì all’alba. Nessun velo, nessun crocifisso. Solo la pelle nuda sotto l’abito e il ricordo di un cazzo latino che l’aveva liberata dal silenzio.
Il pentimento non era una catena, ma una carezza malinconica. E mentre il cielo di Caserta si tingeva di rosa, Benedetta capì:
non sarebbe mai più tornata la stessa.
Ma non avrebbe smesso di sognare quel corpo, quel bacio, quel peccato così profondamente... suo.
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