- Pubblicata il 29/05/2025
- Autore: SILVIA
- Categoria: Racconti erotici etero
- Pubblicata il 29/05/2025
- Autore: SILVIA
- Categoria: Racconti erotici etero
DIETRO LE VETRATE - Arezzo Trasgressiva
L’attico si apriva su una Firenze segreta, sensuale, che sembrava trattenere il respiro per non disturbare ciò che stava per accadere. Il sole calava lento, trasformando la città in un mosaico d’oro e ombre. Il Duomo, da lì, sembrava un gigante silenzioso a guardia del desiderio.
Silvia, trent’anni, modella, corpo da scultura e sguardo affilato, si muoveva tra i flash come se danzasse con il fuoco. Alta, capelli scuri raccolti con noncuranza, seni pieni che sfidavano il pizzo del reggiseno, gambe toniche da far perdere il fiato. Non sorrideva mai per caso. Ogni gesto era calibrato, provocante, consapevole.
Tommaso, trentaquattro anni, fotografo freelance, viveva per quegli attimi in cui il soggetto si lasciava completamente andare davanti all’obiettivo. Con Silvia, però, qualcosa lo spingeva oltre la tecnica. I suoi occhi, intensi e neri come la notte, si soffermavano troppo a lungo sui dettagli: una curva dei fianchi, la piega delle labbra, la pelle d’oca che le saliva sulle braccia quando si spostava vicino alle vetrate.
Quel pomeriggio, qualcosa era diverso. L’aria nell’attico era densa, satura di tensione. Ogni click della fotocamera sembrava una confessione.
Silvia si fermò, guardandolo con un sorriso piegato e audace. Si sfilò la sciarpa di seta che le copriva il seno e lasciò che scivolasse al suolo. Nuda, in piedi davanti a lui, era pura arte. “E se facessimo qualcosa di… più vero?” sussurrò.
Tommaso annuì, incapace di parlare. Era lei a condurre il gioco.
Silvia si voltò lentamente verso la grande vetrata, la luce calda del tramonto che accarezzava ogni curva. Appoggiò una mano al vetro, l’altra scivolò sul proprio ventre, poi tra le gambe. Iniziò a toccarsi con movimenti lenti, profondi, consapevoli. Le sue dita si muovevano tra le labbra bagnate, circondando il clitoride con una dolcezza che faceva impazzire chi guardava. Respirava piano, ma i suoi occhi erano in fiamme.
Tommaso la osservava, senza più scattare. Si avvicinò lentamente, posò la macchina fotografica sul divano e le si accostò dietro. Il suo respiro caldo le accarezzò la nuca. Le mani, forti e sicure, le sfiorarono i fianchi, poi il ventre, risalendo lentamente a stringerle i seni. Silvia gemette piano, piegandosi leggermente contro di lui.
“Ti piace guardarmi?” sussurrò lei, senza voltarsi.
“Mi piace desiderarti,” rispose lui, spingendosi contro il suo corpo con l’erezione evidente che premeva sui suoi glutei nudi.
La fece girare, la baciò con foga. Le lingue si cercarono, si scontrarono, si legarono. Le mani di lui le esploravano la schiena, i fianchi, il sedere. La sollevò con forza e la portò sul tavolo di legno accanto al set. Silvia si lasciò fare, spalancando le gambe senza pudore. Tommaso si inginocchiò tra le sue cosce e iniziò a baciarla tra le labbra umide, prima piano, poi con la lingua più affondata, più affamata.
Lei si contorceva, le dita intrecciate tra i suoi capelli, ansimava a occhi chiusi. “Così... sì... continua, non fermarti…”
La portò all’orgasmo con la bocca, tenendola ben salda con le mani sulle cosce tremanti. Silvia esplose con un gemito che si perse tra le ombre della sera. Restò lì, per un attimo, con il petto che si sollevava veloce, gli occhi persi.
Poi lo spinse a terra, prese il controllo. “Adesso tocca a me,” disse con un tono basso e deciso.
Tommaso si lasciò guidare. Lei lo spogliò lentamente, slacciando ogni bottone della camicia con le labbra. Gli abbassò i pantaloni e, quando il suo cazzo si liberò, duro e pronto, lo guardò con brama. Lo prese in bocca lentamente, senza mai distogliere lo sguardo dal suo. La sua lingua roteava attorno alla punta, poi scendeva sul tronco, le mani lo accarezzavano in un ritmo ipnotico. Tommaso gemeva, la voce rotta. “Cristo, Silvia…”
Ma lei non si fermava. Lo voleva sentire tremare, esplodere, annullarsi dentro di lei. E quando lui non riuscì più a trattenersi, venne nella sua bocca con un grido, afferrandole la testa con forza. Silvia lo accolse tutto, lo inghiottì, si leccò le labbra come se avesse appena gustato il suo piatto preferito.
Restarono stesi sul pavimento di legno, nudi, appiccicati, ancora caldi di orgasmi e adrenalina. La luce era ormai tenue, la città sotto di loro era immersa in un blu profondo e pieno di promesse.
“Sei pazzesca,” disse lui, ancora senza fiato.
Silvia si accoccolò tra le sue braccia. “Sei tu che tiri fuori il peggio... o il meglio,” rispose, mordendogli piano un capezzolo.
Rimasero a lungo a parlarsi, nudi, sussurrando idee per nuovi set, nuove pose, nuovi giochi. La fotografia era solo la scusa: avevano trovato un linguaggio che parlava di pelle, di morsi, di desiderio puro.
Quando si rivestirono, Firenze era immersa nella notte. L’attico era silenzioso, ma sembrava ancora vibrare dell’eco del loro piacere.
Prima di uscire, Silvia si voltò verso di lui, mentre si chiudeva la giacca di pelle.
“La prossima volta, scattiamo in esterna. Magari... un vicolo buio. E magari tocca a te stare nudo.”
Tommaso sorrise, mentre le prendeva la mano. “A una condizione. Dopo lo scatto... mi fai venire addosso.”
Silvia rise, e quel suono si sparse per la stanza come una promessa sussurrata al vento.
Scivolarono tra le vie della città, sotto un cielo trapunto di stelle, portandosi addosso l’odore del sesso e il sapore di qualcosa che non sarebbe finito lì.
Il sole era appena calato, e Firenze indossava la sua veste più misteriosa. Le strade si erano svuotate piano, i turisti spariti, i locali avevano abbassato le serrande. Tommaso aveva scelto un angolo nascosto tra via del Parione e Borgo Ognissanti, un vicolo silenzioso, stretto tra due palazzi antichi, dove le lanterne arancio gettavano ombre lunghe sulle pietre consumate.
Silvia arrivò in ritardo, con i tacchi che risuonavano sul selciato. Giacca di pelle corta, niente reggiseno sotto la camicia sbottonata, minigonna di pelle nera e calze a rete. I capelli sciolti, scompigliati dal vento. Gli occhi che brillavano di una sfida nuova.
«Qui? Davvero? In mezzo alla strada?» chiese, con un sorrisetto provocante.
Tommaso non rispose. Prese la macchina fotografica e iniziò a scattare. Silvia lo capì subito: quel silenzio era eccitazione. Era la stessa elettricità del loro primo incontro all’attico. Solo che ora era più forte. Più pericolosa.
Le prime pose furono tranquille. Silvia si appoggiò al muro, una sigaretta accesa tra le dita, una gamba piegata, la bocca semiaperta. Era un felino pronto all’attacco. Le luci delle finestre lontane disegnavano motivi geometrici sulla sua pelle.
«Togliti le mutandine,» mormorò lui.
Silvia non esitò. Si girò verso il muro, sollevò la gonna, infilò una mano tra le cosce e si sfilò le mutandine lentamente, lasciandole cadere tra i piedi. Rimase così, senza niente sotto, esposta, con l’aria fresca che le accarezzava il sesso.
Tommaso si avvicinò e gliele sfilò da terra. Se le mise in tasca. Poi tornò dietro la fotocamera.
«Divarica le gambe. Di più. E toccati.»
Silvia obbedì. Aprì le cosce lentamente e lasciò che le dita affondassero tra le labbra bagnate. Si accarezzava con naturalezza, sapendo di essere osservata, sapendo che qualcuno, da una finestra, poteva anche vederla. Questo la eccitava ancora di più. I suoi gemiti erano bassi, contenuti, ma veri.
Tommaso scattava, ansimando quasi quanto lei. La desiderava da impazzire.
Quando non ce la fece più, si avvicinò e le afferrò i polsi. Le bloccò le mani contro il muro, la sollevò leggermente sulle punte. Il suo cazzo era già duro, pronto. Con un solo movimento si abbassò la zip, la spinse contro il muro e la penetrò da dietro, con forza.
Silvia si morse le labbra per non gridare. Il muro era freddo, ruvido. Ma il calore di Tommaso dietro di lei era un’esplosione. Le mani di lui le stringevano i fianchi, la facevano vibrare a ogni colpo. Il suo cazzo le entrava dentro con un ritmo lento e profondo, poi sempre più feroce.
«Ti piace essere scopata qui? In strada, come una puttana?» le sussurrò all’orecchio, spingendo più forte.
«Sì... scopami così... fammi venire qui, dove chiunque può sentire...»
Tommaso la girò all’improvviso, la fece inginocchiare davanti a lui, nel vicolo. Silvia lo prese in bocca senza nemmeno pensarci, affamata, sporca, felice. Lo succhiava con tutta sé stessa, con la lingua, con le labbra, con gli occhi. I suoi gemiti erano vibrazioni profonde, rimbalzavano tra i muri. Si sporcava le guance, si lasciava colare addosso la saliva, felice di godere in pubblico.
Tommaso non riusciva più a trattenersi. Le afferrò i capelli, la guardò negli occhi. “Apri la bocca.” Lei obbedì. E venne. Un’esplosione calda e densa che le inondò la lingua, le labbra, il viso. Silvia si leccò le dita, il sorriso più osceno che avesse mai mostrato.
Poi si alzò e lo baciò, facendogli assaggiare il suo stesso sapore.
Restarono in silenzio, respirando a fatica, con i vestiti ancora disordinati. Un’auto passò lontano. Nessuno li aveva visti. O forse sì.
«Adesso tocca a me tenerle le foto,» disse Silvia, infilandosi le mutandine in tasca e sfilando la macchina dalle mani di lui.
«Non ancora,» rispose Tommaso. «C’è un’altra cosa che voglio fare.»
La spinse contro il cofano di un’auto parcheggiata, la scoprì di nuovo e cominciò a leccarla tra le gambe, con una fame che non aveva nulla di romantico. La lingua affondava, esplorava, accarezzava il clitoride come se fosse il centro dell’universo. Silvia lo implorava di non fermarsi. Si contorceva, si graffiava le cosce da sola, finché l’orgasmo esplose con violenza, bagnandogli la bocca.
Quando finirono, si vestirono in fretta. Si guardarono negli occhi. C’era ancora fame, ancora fuoco. Silvia prese la macchina e scattò una foto a lui, col viso bagnato dei suoi fluidi.
«È la mia preferita,» disse.
E poi si allontanarono per le strade vuote, portandosi dietro il sapore di un segreto.
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