DIETRO LA FOTOCAMERA - Arezzo Trasgressiva

Nel cuore di Catania: un incontro che accende

Catania sapeva di sole, di pietra lavica e promesse. L’aria vibrava di luce calda, e il rumore delle onde sembrava rincorrere i passi di Marta mentre attraversava via Etnea con il taccuino nello zaino e una curiosità che le accelerava il battito. Quella mattina non era come le altre: per la prima volta, non avrebbe solo osservato da fuori. Avrebbe aperto una porta su un mondo che finora aveva solo sfiorato con gli occhi.

Il suo articolo doveva raccontare la realtà delle escort nella sua città, ma mentre raccoglieva materiale e testimonianze, un nome continuava a riemergere: Livia. Una donna elegante, riservata eppure celebre nel suo giro. C’erano voci su di lei — voci gentili, sussurrate, intrise di rispetto e fascinazione. Non era semplicemente un'escort. Era un’esperienza.

Si incontrarono in un caffè nascosto tra i vicoli del centro storico, uno di quei luoghi dove il tempo sembrava rallentare. Livia era già seduta, un vestito color crema che accarezzava le sue curve con naturalezza e un sorriso sulle labbra che sembrava sapere più di quanto dicesse.

«Sei Marta, vero? Hai occhi che fanno domande anche quando non parli.»
Marta arrossì appena, sedendosi di fronte a lei. «E tu sei... molto più di ciò che mi aspettavo.»

Livia rise, un suono morbido, come seta che scivola sulle lenzuola. Si misero a parlare — del lavoro, della libertà, del corpo come linguaggio e non come merce. Le parole scorrevano facili, eppure ogni risposta di Livia sembrava accendere qualcosa sotto pelle, come se stesse scrivendo con le dita direttamente sulla curiosità di Marta.

«Sai, ascoltarti è già... intenso. Ma temo che non basti. Se voglio raccontare davvero, devo capire. Non solo con la testa.»
Livia la guardò, con uno sguardo che non cercava permesso. «Capire richiede coraggio. E onestà con sé stessi. Sei pronta?»
Marta annuì, ma in realtà era già scivolata dentro quell’invisibile incanto che Livia emanava.

L’appartamento si apriva su una luce ambrata, tende leggere che si muovevano come veli in un sogno. Tutto era avvolto in una calma sensuale: profumo di vaniglia e sandalo, toni caldi, superfici morbide al tatto. Marta si sedette sul divano, le gambe incrociate con apparente compostezza, ma dentro di lei era un turbine.

Livia si avvicinò lentamente, quasi danzando. Le dita le sfiorarono la guancia. Un gesto semplice, ma Marta si sentì sciogliere.
«Resisti troppo. Non serve qui. Qui non c’è niente da dimostrare.»
E poi arrivò quel bacio. Un bacio che non invase, ma invitò. Le labbra di Livia si posarono sulle sue con la tenerezza di una scoperta. Marta chiuse gli occhi, lasciandosi trasportare da quella lentezza ipnotica, da quel sapore nuovo, carnale e intimo insieme. Sentì la lingua di Livia cercarla, giocare, guidarla. Era come imparare un altro modo di parlare, ma senza suoni.

Si ritrovarono sdraiate, le dita intrecciate, i respiri che si rincorrevano. Livia sapeva cosa fare, ma più ancora, sapeva quando fermarsi. Le accarezzava il collo con labbra leggere, i polpastrelli viaggiavano sulla pelle come se stesse tracciando mappe invisibili.

«Il desiderio non ha fretta,» sussurrò. «Ha solo bisogno che tu smetta di controllarlo.»

Marta si sentiva nuda, anche prima che i vestiti cadessero. Ogni gesto era carico di attesa, di piccoli fremiti che le correvano lungo la schiena. Quando le mani di Livia si posarono sul suo ventre, lei trattenne il fiato, sorpresa da quanto quel tocco fosse potente nella sua semplicità. Non era solo piacere fisico: era un risveglio.

Si lasciò guidare, il cuore che rimbombava nelle orecchie, le ginocchia che tremavano sotto la pelle. Il corpo di Livia era caldo e accogliente, e il suo sguardo – mentre la osservava – era il riflesso più nitido di un desiderio consapevole, lucido, senza vergogna.

Le lenzuola scivolarono sul pavimento, e Marta sentì il battito della città sfumare. Esistevano solo il presente e quel respiro a due voci. La bocca di Livia esplorava senza invadere, e Marta si scoprì a gemere senza volerlo, senza pensarlo, solo seguendo ciò che sentiva.

Livia si mosse con eleganza, lasciandosi accarezzare a sua volta, e Marta si rese conto di quanto fosse potente dare, non solo ricevere. Il corpo rispondeva, imparava, desiderava.

«Ti stai aprendo come un fiore,» le disse Livia, con un sorriso languido. «Ed è meraviglioso vederti così.»

Marta rise piano, il viso arrossato, ma gli occhi brillanti. Si sentiva viva. Vera. E profondamente donna.

Si svegliarono ore dopo, avvolte l’una nell’altra. Livia giocava con una ciocca dei suoi capelli.
«Allora, giornalista... hai trovato il tuo incipit?» chiese con voce vellutata.
Marta la baciò sulla spalla nuda, chiudendo gli occhi. «Ho trovato molto più di questo.»

E quando, qualche giorno dopo, iniziò a scrivere, le parole vennero da sole. Non raccontò solo l’incontro, ma il significato profondo dell’abbandonarsi, della fiducia, del piacere che nasce dall’ascolto. Scrisse un pezzo che parlava di rispetto, di libertà e del coraggio di conoscersi attraverso l’altro.
Un articolo che era anche una confessione.

….

I giorni successivi Marta li trascorse con una strana leggerezza addosso. Come se qualcosa dentro di lei si fosse spostato, liberato. Continuava a ripensare a Livia — al modo in cui l’aveva guardata, toccata, ascoltata. Ogni gesto, ogni sussurro le tornava alla mente in momenti imprevedibili: durante una riunione, mentre faceva la spesa, perfino mentre scriveva articoli su argomenti che ora le sembravano improvvisamente meno urgenti.

Eppure non era solo desiderio. C’era qualcosa di più. Curiosità, certo. Ma anche stupore, ammirazione, un senso di inadeguatezza tenera. Livia non le era rimasta sulla pelle, ma dentro. Come una nota che continuava a vibrare anche dopo che la musica era finita.

Quando ricevette il messaggio, il cuore le saltò un battito:
"Ho pensato a te mentre facevo il bagno. Hai mai provato una vasca colma di schiuma e sguardi complici?
Marta esitò solo un momento prima di rispondere:
"No. Ma mi sembra un'ottima occasione per cominciare."

Quella sera, l’appartamento di Livia aveva un’aria ancora più intima. Le luci erano più basse, l’atmosfera più densa. Livia la accolse con un kimono color ametista, leggermente aperto sul petto. I piedi nudi, le caviglie sottili, un bicchiere di vino rosso in mano.

«Benvenuta nel mio venerdì sera ideale.»

Marta rise, ma sentì subito il desiderio farsi strada, lieve ma inarrestabile. Si avvicinarono con la naturalezza di chi ha già condiviso molto, ma ancora ha tutto da scoprire. Si sfiorarono appena, come se ogni gesto fosse un invito, un gioco di attese e promesse.

La vasca era ampia, incassata nel pavimento in pietra chiara, circondata da candele che proiettavano riflessi tremolanti sulle pareti. Livia l’aiutò a svestirsi, con lentezza, lasciando che ogni capo cadesse con eleganza. Marta si lasciava fare, a occhi socchiusi, come se fosse parte di un rito segreto.
Entrarono insieme nella vasca, l’acqua calda avvolse i loro corpi e la schiuma galleggiava lieve. Livia le sedeva di fronte, le gambe appena piegate, le ginocchia che toccavano quelle di Marta. Le mani scivolavano sull’acqua, tra risate leggere e sguardi che dicevano molto più delle parole.
«Lo sai che mi piaci, vero?» mormorò Livia, accarezzandole il ginocchio con la punta delle dita.

Marta annuì. «Lo sento. E anche io… sento qualcosa che non avevo previsto.»
Le mani si incontrarono sotto l’acqua, si intrecciarono. Marta lasciava che il tocco di Livia la guidasse, ma stavolta si spostò anche lei, si avvicinò, si posò sulle sue gambe, il corpo che si modellava con naturalezza sull’altro.
Le labbra si unirono di nuovo, stavolta più lentamente. Ogni bacio era un’esplorazione, un assaggio. Le dita di Marta scorrevano sulle spalle di Livia, lungo la clavicola, tracciavano la linea del collo. La pelle era calda, scivolosa di sapone, profumata di ambra.

«Sei bellissima quando lasci andare la testa,» sussurrò Livia, mentre le posava baci umidi lungo il décolleté. Marta gemeva piano, un suono trattenuto, carico di tensione e piacere.

Livia la guidò a sedersi sul bordo della vasca, l’acqua che colava lentamente lungo le cosce. Marta rabbrividì appena, ma restò ferma, fidandosi. Livia si chinò davanti a lei, la guardò negli occhi.

«Adesso ascolta solo il tuo corpo. Non pensare.»

Ogni tocco era misurato, ogni gesto un crescendo che non sfociava mai troppo in fretta. Marta imparava ad accogliere, ma anche a rispondere. Le mani nei capelli di Livia, i fianchi che si muovevano lentamente. Non c’erano regole, solo un fluire sensuale, profondo, dove il piacere era linguaggio e connessione.

Più tardi, stese sul letto tra lenzuola chiare e il profumo della pelle condivisa, Marta si voltò su un fianco. Le dita tracciavano cerchi lenti sulla pancia nuda di Livia.

«Non so come racconterò tutto questo.»
Livia le prese la mano e la baciò. «Non raccontarlo. Vivilo. E poi scrivi quello che rimane.»

Marta chiuse gli occhi. Il mondo là fuori sembrava lontanissimo. In quella casa, in quella notte, era solo una donna che aveva imparato a sentire. E forse, a conoscersi un po’ di più.



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